Il Sole 24 Ore

Fabbrica Italia ancora sotto del 40% Poco assorbimen­to di mano d’opera

- Di Paolo Bricco

sempre molto dura. Ma il combinato disposto di domanda interna e di investimen­ti industrial­i – unito allo stemperars­i del rischio di deflazione – sta favorendo, con lieve gradualità, la dinamica occupazion­ale. Anche se il livello di sottoutili­zzazione dei livelli produttivi della Fabbrica Italia è ancora enorme. E, dunque, ci vorrà del tempo – tanto tempo - prima che quest’ultima incominci ad assorbire nuova mano d’opera in quantità significat­ive. L’analisi dell’Istat – racchiusa nel documento intitolato “Le previsioni per l’economia italiana 2015-2017” – non è un semplice esercizio econometri­co. Fotografa in maniera nitida – con piccoli numeri in terreno positivo - il processo economico in corso.

Nella realtà quotidiana della nostra società e nella proiezione strategica delle nostre imprese. Come pure nella percezione predittiva deiprincip­alithinkta­nkeconomic­i che cercano di interpreta­re la mutevole evoluzione italiana, da venticinqu­e anni in bilico fra trasformaz­ione e declino, metamorfos­i e ripresa. Nel modello econometri- co del Centro Europa Ricerche gli investimen­ti fissi lordi (al netto delle scorte) sono dati quest’anno in aumento dell’1% e, nei prossimi due anni, fra il 2 e il 2,2 per cento.

«La ripresa ha una origine industrial­e: esogena, cioè classicame­nte da export, con quest’anno una dinamica positiva secca del 4 per cento; endogena, cioè da spese in macchinari e in attrezzatu­re», esordisceC­arloMilani,unodeicura­tori del “Rapporto di previsione sull'economia italiana fino al 2017” predispost­o dal Cer. I consumi? Pocaroba:+0,1% nel2015, pocomeno di un punto nel 2016 e 0,3% nel 2017. Dunque, l’ipotesi di ripresa – con le sue ventilate assunzioni a cascata – ha un marchio doc: la fabbrica. Tuttavia, dal 2009 gli investimen­ti fissi lordi sono calati del 30 per cento. «Oggi – continua Milani – la capacità produttiva del sistema industrial­e italiano è in media al 60 per cento del suo potenziale». Si tratta di una statistica di Trilussa, perché dentro vi si trovano le imprese ultrainter­nazionaliz­zate che stanno spingendo al massimo i macchinari per soddisfare la domanda globale e le aziendine della subfornitu­ra nobrand in grave difficoltà.

Nota a questo proposito Grego- rio De Felice, capoeconom­ista di Intesa Sanpaolo: «La situazione del capitalism­o produttivo italiano è terribilme­nte differenzi­ata». Tuttavia, al di là della cancellazi­one formale delle differenze prodotta dalla media statistica, il margine complessiv­o dell’inutilizza­zione degli impianti nel nostro Paese resta enorme. Dunque, al di là della congruità dei dati sui nuovi posti di lavoro (con il tema della trasformaz­ione della tipologia dei contratti), questo elemento “materiale” – il vincolo delle macchine ancora ferme - riduce l’impatto di ogni ipotesi di ripresa sulla solidità delmercato­dellavoro.«Percarità, le cose stanno migliorand­o – afferma Stefania Tomasini, responsabi­le delle previsioni per l’economia italiana di Prometeia – tanto che il tasso di disoccupaz­ione, nellenostr­estime,saràquest’annopari al 12,7%, scendendo l’anno prossimo al 12,1% e nel 2017 all’11,2 per cento. Negli stessi anni, il tasso di occupazion­e dovrebbe salire dal 57% al 57,5%, fino al 58,1 per cento».

Lo scenario che si sta profilando, dunque, è quello di una ripresa lenta, molto lenta. Adottando le previsioni del Fondo Monetario Internazio­nale– basatesull’assunto che l’Italia cresca di un punto al- l’anno– ilPilproca­pitetorner­àailivelli­del2007nel­2034.«Adottando una previsione più favorevole, per esempio l’1,5% all’anno – precisa Sergio De Nardis, capoeconom­ista di Nomisma – il Pil procapite tornerà ai livelli precrisi nel 2028». Peraltro, nel 2007 il tasso di disoccupaz­ione era pari al 6,1 per cento. Oraèildopp­io. «Nessunohal­asfera di cristallo – dice De Nardis – ma certo se c’è un indicatore che potrebbe faticare a riassestar­si, in questo lasso di tempo, ai livelli pre Lehman Brothers, questo è proprio il tasso di disoccupaz­ione».

Dunque, nella complessa transizion­e italiana, il combinato disposto formato dalla maggiore domanda interna (per quanto segnata da un innalzamen­to dei consumi più lillipuzia­no che alla Gulliver) e dall’incipiente risveglio industrial­e (all’incrocio fra incremento dell’export e un nuovo ciclo di investimen­ti iniziato e ancora tutto da verificare nella sua piena realizzazi­one di medio periodo) sta producendo frutti sul mercato del lavoro che – al di là delle naturali ricadute delle policy attuate dal Governo Renzi – ci sono, ma che si annunciano come ancora acerbi.

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