Fabbrica Italia ancora sotto del 40% Poco assorbimento di mano d’opera
sempre molto dura. Ma il combinato disposto di domanda interna e di investimenti industriali – unito allo stemperarsi del rischio di deflazione – sta favorendo, con lieve gradualità, la dinamica occupazionale. Anche se il livello di sottoutilizzazione dei livelli produttivi della Fabbrica Italia è ancora enorme. E, dunque, ci vorrà del tempo – tanto tempo - prima che quest’ultima incominci ad assorbire nuova mano d’opera in quantità significative. L’analisi dell’Istat – racchiusa nel documento intitolato “Le previsioni per l’economia italiana 2015-2017” – non è un semplice esercizio econometrico. Fotografa in maniera nitida – con piccoli numeri in terreno positivo - il processo economico in corso.
Nella realtà quotidiana della nostra società e nella proiezione strategica delle nostre imprese. Come pure nella percezione predittiva deiprincipalithinktankeconomici che cercano di interpretare la mutevole evoluzione italiana, da venticinque anni in bilico fra trasformazione e declino, metamorfosi e ripresa. Nel modello econometri- co del Centro Europa Ricerche gli investimenti fissi lordi (al netto delle scorte) sono dati quest’anno in aumento dell’1% e, nei prossimi due anni, fra il 2 e il 2,2 per cento.
«La ripresa ha una origine industriale: esogena, cioè classicamente da export, con quest’anno una dinamica positiva secca del 4 per cento; endogena, cioè da spese in macchinari e in attrezzature», esordisceCarloMilani,unodeicuratori del “Rapporto di previsione sull'economia italiana fino al 2017” predisposto dal Cer. I consumi? Pocaroba:+0,1% nel2015, pocomeno di un punto nel 2016 e 0,3% nel 2017. Dunque, l’ipotesi di ripresa – con le sue ventilate assunzioni a cascata – ha un marchio doc: la fabbrica. Tuttavia, dal 2009 gli investimenti fissi lordi sono calati del 30 per cento. «Oggi – continua Milani – la capacità produttiva del sistema industriale italiano è in media al 60 per cento del suo potenziale». Si tratta di una statistica di Trilussa, perché dentro vi si trovano le imprese ultrainternazionalizzate che stanno spingendo al massimo i macchinari per soddisfare la domanda globale e le aziendine della subfornitura nobrand in grave difficoltà.
Nota a questo proposito Grego- rio De Felice, capoeconomista di Intesa Sanpaolo: «La situazione del capitalismo produttivo italiano è terribilmente differenziata». Tuttavia, al di là della cancellazione formale delle differenze prodotta dalla media statistica, il margine complessivo dell’inutilizzazione degli impianti nel nostro Paese resta enorme. Dunque, al di là della congruità dei dati sui nuovi posti di lavoro (con il tema della trasformazione della tipologia dei contratti), questo elemento “materiale” – il vincolo delle macchine ancora ferme - riduce l’impatto di ogni ipotesi di ripresa sulla solidità delmercatodellavoro.«Percarità, le cose stanno migliorando – afferma Stefania Tomasini, responsabile delle previsioni per l’economia italiana di Prometeia – tanto che il tasso di disoccupazione, nellenostrestime,saràquest’annopari al 12,7%, scendendo l’anno prossimo al 12,1% e nel 2017 all’11,2 per cento. Negli stessi anni, il tasso di occupazione dovrebbe salire dal 57% al 57,5%, fino al 58,1 per cento».
Lo scenario che si sta profilando, dunque, è quello di una ripresa lenta, molto lenta. Adottando le previsioni del Fondo Monetario Internazionale– basatesull’assunto che l’Italia cresca di un punto al- l’anno– ilPilprocapitetorneràailivellidel2007nel2034.«Adottando una previsione più favorevole, per esempio l’1,5% all’anno – precisa Sergio De Nardis, capoeconomista di Nomisma – il Pil procapite tornerà ai livelli precrisi nel 2028». Peraltro, nel 2007 il tasso di disoccupazione era pari al 6,1 per cento. Oraèildoppio. «Nessunohalasfera di cristallo – dice De Nardis – ma certo se c’è un indicatore che potrebbe faticare a riassestarsi, in questo lasso di tempo, ai livelli pre Lehman Brothers, questo è proprio il tasso di disoccupazione».
Dunque, nella complessa transizione italiana, il combinato disposto formato dalla maggiore domanda interna (per quanto segnata da un innalzamento dei consumi più lillipuziano che alla Gulliver) e dall’incipiente risveglio industriale (all’incrocio fra incremento dell’export e un nuovo ciclo di investimenti iniziato e ancora tutto da verificare nella sua piena realizzazione di medio periodo) sta producendo frutti sul mercato del lavoro che – al di là delle naturali ricadute delle policy attuate dal Governo Renzi – ci sono, ma che si annunciano come ancora acerbi.