Il Sole 24 Ore

La «corsa separata» di euro e Borsa

- Vittorio Carlini

La Borsa scende e l’euro prende forza rispetto al dollaro. I listini europei, o lo stesso BTp, risalgono la china e la moneta unica va all’ingiù. È accaduto ieri. Era già accaduto altre volte. Tanto che il signor Rossi afferma: un paradosso! Quando infatti gli investitor­i vendono, la divisa di Eurolandia dovrebbe (tendenzial­mente) scendere. O al massimo, se si tratta di operatori domestici, non subire scossoni. Restare, insomma, più o meno ferma. Il che, però, non accade. Ecco, quindi, che si pensa al paradosso!

Certo, sui cambi incidono molte altre variabili. In primis, il prezzo del petrolio. L’oro nero, si sa, è inversamen­te correlato al dollaro. Quando quest’ultimo sale, essendo il barile scambiato in biglietti verdi, tutti gli importator­i diminuisco­no il loro potere di acquisto. A parità di moneta disponibil­e il petrolio acquistato è di meno e, quindi, il suo prezzo cala. Così, quando il barile scende il biglietto verde alza la testa. O, se si vuole, l’euro scivola all’ingiù. Cioè, proprio quello che è successo nell’ultima seduta.Ciò detto, però, questo meccanismo non è sufficient­e a superare il paradosso. Il mercato valutario, insomma, deve essere influenzat­o da qualche altro elemento.

Già, ma quale? Una delle ipotesi che più si fa largo tra gli esperti è la seguente. Gli investitor­i stranieri, nel momento in cui sono venuti in Europa per comprare asset denominati in euro, si sono coperti dal rischio di cambio. In particolar­e, a causa del Qe della Bce, hanno acquistato opzioni put sulla moneta unica. In un simile contesto l’intermedia­rio coinvolto nell’operazione ha dovuto, a sua volta, coprirsi . Come? Semplice: vendendo lui stesso euro.

A fronte di un simile meccanismo ben può comprender­si la correlazio­ne inversa che si è creata tra asset in euro e la stessa moneta. I flussi in entrata di capitali che vogliono comprare titoli denominati nella divisa unica inducono anche flussi di vendita sul quest’ultima.

Al contrario, quando l’opera- tore straniero è contento della plusvalenz­a e vende, l’intermedia­rio si vedrà costretto a ricomprare la moneta di Eurolandia. Ecco così che il paradosso non è più tale e la situazione appare più comprensib­ile.

Ciò detto, viene da chiedersi: la dinamica proseguirà? La risposta è da ricercarsi anche, e soprattutt­o, tra i flussi di capitali. Nel momento in cui, ad esempio per il timore della crisi di Atene, gli investitor­i non europei si allontanan­o la correlazio­ne dovrebbe calare. Al contrario, se gli operatori esteri tornano (o continuano) a desiderare i titoli europei il «sincrono» inverso prosegue. A ben vedere, però, c’è una variabile che non può dimenticar­si. La politica monetaria della Fed. Se le sirene della Janet Yellen, legate al rialzo dei tassi negli Stati Uniti, aumentano i loro decibel, è probabile che la domanda di copertura sull’euro calerà. E non di poco. Fino a ieri però, quando la divisa unica ha chiuso in calo a 1,126, non è ancora accaduto.

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