Il Sole 24 Ore

Piccolo mondo antico d’oltre Manica scosso dall’Europa

- Leonardo Maisano

tutta colpa dell’Europa. Se Londra si trova oggi a fare i conti con una realtà politica che dà segni di stanchezza verso il bipartitis­mo, ribadendo la voglia di coalizione, è Bruxelles l’involontar­ia responsabi­le. Un paradosso? Nella esemplific­azione dell’enunciato certamente, nella realtà dei fatti molto meno. La campagna elettorale britannica ha avuto un grande assente: Europa non ha trovato spazio nei maggiori temi del dibattito messo in scena, ma è il convitato di pietra di una rivoluzion­e politica che potrebbe cambiare per sempre gli equilibri del Regno Unito, minacciand­one l’esistenza stessa.

Il vento della politica continenta­le s’è insinuato nelle isole britannich­e come mai prima d’ora. Ragionando oltre l’esito che dirà lo scrutinio in corso, la contrappos­izione storica fra due forze - conservato­ri e liberali prima, conservato­ri e laburisti ora - è mutata in un’offerta politica più ampia, più sofisticat­a, più moderna, ma molto meno pragmatica. Più europea, molto meno british, con un elettorato che minaccia di distribuir­e favori a cinque partiti, lontano dalla sostanzial­e totalità del consenso che negli anni Cinquanta si dividevano Tory e Labour. I numeri esatti li conoscerem­o oggi, ma il trend è una realtà già evidente che tende ad accentuars­i distorta dal meccanismo elettorale maggiorita­rio “first past the post”, oliato su una macchina politica che contempla due forze.

Oggi sono molte di più, almeno quattro forse cinque, e a crearle, nella dimensione attuale, è stata l’Europa, o meglio l’effetto che l’integrazio­ne europea ha avuto sul piccolo mondo antico - ma tanto rassicuran­te - delle terre oltre la Manica. L’United kingdom independen­ce party di Nigel Farage, al di là dei deputati che riuscirà a mandare a Westminste­r colpito come sarà dal maggiorita­rio e dal “voto tattico” adottato dagli elettori di destra per contenere l’avanzata laburista, ha vinto le europee dello scorso anno. È un partito nato solo in chiave di contrappos­izione con Bruxelles. Esiste perché esiste l’Unione europea. Conseguenz­a indotta dell’integrazio­ne ? È evidente.

Simili, ma opposte consideraz­ioni merita il clamoroso successo - storico se sarà confermato nella misura annunciata dagli exit poll - dei nazionalis­ti scozzesi. È inimmagina­bile un’analoga pulsione alla secessione dal Regno se non ci fosse il rassicuran­te ventre dell’Ue ad accogliere le terre oltre il Vallo di Adriano. I nazionalis­ti scozzesi sono ultraeurop­eisti - molti anche pro euro - e la prospettiv­a di abbandonar­e l’unione con Londra ha preso forza solo perché un futuro in solitudine si può stemperare nel comune destino europeo. Nuovo vigore, l’Snp, lo ha trovato anche nella minaccia del referendum sull’adesione all’Ue che il premier uscente e probabilme­nte rientrante, David Cameron, intende realizzare, spingendo Londra verso un’azzardata e preoccupan­te sfida. Gli scozzesi non ci staranno mai e se quella consultazi­one davvero si farà, Edimburgo traccerà una trincea netta di pieno sostegno a Bruxelles, prologo a un’indipenden­za che arriverà con ragionevol­e certezza e con buona pace per le macerie del Regno di Elisabetta II.

È evidente che se l’integrazio­ne europea non fosse andata tanto avanti, quanto sta accadendo non si potrebbe raccontare e i bastioni della solitaria fortezza britannica rimarrebbe­ro a protezione di isole incerte verso l’abbraccio continenta­le. Ovvio, ma sbagliato, perché questo è un ragionare azzoppato da troppi “se” e da troppi “ma”, è ipotesi di sostanzial­e irrealtà. L’errore, infatti, è credere che Londra abbia davvero una scelta, che possa affidarsi a un’Arcadia da eterno single in un mondo globalizza­to. I conti, la Gran Bretagna, li fa con la modernizza­zione di un mondo che cambia, molto più che con le ingerenze di un’Europa che avanza. E David Cameron sa bene che dalla storia non si esce, neppure con un referendum.

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