Cresce la voglia di tutele: è boom di clausole e liti
Un macigno sulla strada di un negoziato che vuole accelerare o una foglia di fico come alibi sulle incertezze e la scarsavogliadiconcludereintempibrevi?LadiscussionesulTtiptra Usa e Ue sembra incagliata su una sola questione – molto tecnica – se includere o meno, nel Ttip, l’Isds (l’Investor-State Dispute Settlement), vale a dire il meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitore e Stato che garantisce a un investitore estero il diritto di fare causa al governo di un Paese in cuihainvestito,semprecheleparti abbiano sottoscritto una clausola in tal senso. L’investitore infatti spesso non si fida di ricorrere a un tribunaledelPaesecontrocuivain causa. Ed è scattata la protesta in tutta Europa per il rischio che le multinazionali Usa facciano ampiousodegliarbitratiperfarecarta stracciadellelegislazionieuropee.
Ma è davvero così? Gli Isds non nascono ora. Esistono da 65 anni perchè contenuti negli accordi bilaterali commerciali (i Bit). Il primo è nato nel 1950, quando propriolaGermaniafirmòconilPakistan il primo trattato bilaterale con la clausola di risoluzione delle controversie investitore-Stato. Obiettivo, tutelare i propri gruppi privati, vogliosi di investire in un Paese meno sviluppato ma timorosidiincappareininstabilità, golpeenazionalizzazioni. Oggi, iPaesi emergenti hanno quasi tutti aperto i loro mercati agli investimenti esteri. Eppure le cause davanti all’Icsid (l’arbitrato presso la Banca mondiale), invece di diminuire sono cresciute a dismisura negli ultimi 30 anni.
Secondo i dati Unctad – dal 1987 al2014– sono3.268leclausolediarbitrato inserite in accordi internazionali: 1.400 solo quelle strette da Paesi Ue con controparti (tra cui 300 quelle firmate dalla sola Germania, 172dallaFrancia, 170dalRegno Unito, 156 dall’Italia).
Nel 2014 i casi noti di ricorso all’Isds da parte degli investitori sono stati 42 (59 nel 2013 e 54 nel 2012), portando la “conta” dei casi a 608 in27anni. Tuttavia, sitrattadistatistichenonesaustive:alcunitrattati prevedono arbitrati completamente riservati. Il numero effettivo di ricorsi, dunque, è con ogni probabilità più alto. In percentuale, nel 2014 è cresciuto il numero delle cause mosse contro i Paesi ricchi (40%). Tuttavia, il 60% riguarda ancora le economie in via di sviluppo. Gli investitori che si avvalgono dell’Isds, invece, provengono quasi sempre (in 35 casi su 42) da nazioni sviluppate. Le contestazioni riguardano la can- cellazione o le presunte violazioni di contratti o concessioni e la revoca o il rifiuto di licenze o permessi.
Secondo l’Unctad, considerando i casi in cui le cifre sono reperibili, l’importo minimo va dagli 8 milioni di dollari ai 2,5 miliardi. Ma sono sempre gli investitori a vincere? Mica vero. Nel 2014, il numero complessivo di casi conclusi è salitoa356. Diquestesentenze, circa il 37 % (132) è andato in favore delloStato,il25%(87casi)infavore dell’investitore. Mentre il 28% dei casi (101) sono stati risolti con un patteggiamento. Infine, 8 sono statiinterrottie2hannoravvisatouna violazione senza stabilire i danni.
Anche l’Italia nel 2014 è rimasta – prima volta nella sua storia – coinvolta in un processo. Gli investitori sono europei (la belga Blusun S.A. , il francese JeanPierre Lecorcier e il tedesco Michael Stein) . Il caso riguardereb- be un investimento in energia solare in Puglia. Gli investitori lamenterebbero il mancato recepimento ab initio dell’incentivo sulle energie pulite, dunque, sembra che l’investimento non abbia mai iniziato ad operare.
«Molti dei casi citati dagli oppositori dell’Isds – ha spiegato l’avvocato Anna De Luca, specialista in dirittointernazionaleedocenteall’Universita Bocconi di Milano – riguardano arbitrati intra-Ue (cioè di investitori di uno Stato membro contro un diverso Stato membro), che, anche per il livello di integrazione delle economie, l’esistenza del mercato unico e il principio di parità di trattamento, non dovrebbero più esistere dal punto di visto del diritto europeo. Italia e Irlanda sono stati i soli Stati membriadaverterminatounilateralmente gli accordi che avevano in vigore con altri Stati membri nel 2009, come richiesto dalla Commissione Ue». «L’Italia è un paese esportatore di capitali e tecnologia. In molti Paesi terzi (economie emergenti e in via di sviluppo) è spesso più debole sia l’applicazione del principio di certezza del dirittosialaprotezionedegliinteressi economici. Da qui nascono le clausole di arbitrato. Infine, ha concluso Giorgio Sacerdoti, docente di diritto internazionale all’Università Bocconi di Milano, «la nuova generazione di trattati internazionali (come il Ceta tra Ue e Canada) mette paletti più chiari a presunte discriminazioni e al concetto di trattamento giusto ed equo, e protegge di più e meglio il diritto degli Stati a regolamentare nell’interesse generale, anche con capitolisullatuteladeidirittideilavoratori e dell’ambiente che non possono essere lesivi degli investimenti, oltre a un codice etico anticonflitti di interesse per avvocati e giudici. Arbitrati da abolire tra Stati Ue. Ma da “ristrutturare”, semmai, con gli altri Paesi terzi».
I DATI Nel 2014 il 37% delle sentenze ha dato ragione agli Stati e il 25% agli investitori. Primo caso anche per l’Italia