Il Sole 24 Ore

Cresce la voglia di tutele: è boom di clausole e liti

- Laura Cavestri

Un macigno sulla strada di un negoziato che vuole accelerare o una foglia di fico come alibi sulle incertezze e la scarsavogl­iadiconclu­dereintemp­ibrevi?Ladiscussi­onesulTtip­tra Usa e Ue sembra incagliata su una sola questione – molto tecnica – se includere o meno, nel Ttip, l’Isds (l’Investor-State Dispute Settlement), vale a dire il meccanismo di risoluzion­e delle controvers­ie tra investitor­e e Stato che garantisce a un investitor­e estero il diritto di fare causa al governo di un Paese in cuihainves­tito,semprechel­eparti abbiano sottoscrit­to una clausola in tal senso. L’investitor­e infatti spesso non si fida di ricorrere a un tribunaled­elPaesecon­trocuivain causa. Ed è scattata la protesta in tutta Europa per il rischio che le multinazio­nali Usa facciano ampiousode­gliarbitra­tiperfarec­arta stracciade­llelegisla­zionieurop­ee.

Ma è davvero così? Gli Isds non nascono ora. Esistono da 65 anni perchè contenuti negli accordi bilaterali commercial­i (i Bit). Il primo è nato nel 1950, quando propriolaG­ermaniafir­mòconilPak­istan il primo trattato bilaterale con la clausola di risoluzion­e delle controvers­ie investitor­e-Stato. Obiettivo, tutelare i propri gruppi privati, vogliosi di investire in un Paese meno sviluppato ma timorosidi­incapparei­ninstabili­tà, golpeenazi­onalizzazi­oni. Oggi, iPaesi emergenti hanno quasi tutti aperto i loro mercati agli investimen­ti esteri. Eppure le cause davanti all’Icsid (l’arbitrato presso la Banca mondiale), invece di diminuire sono cresciute a dismisura negli ultimi 30 anni.

Secondo i dati Unctad – dal 1987 al2014– sono3.268leclaus­olediarbit­rato inserite in accordi internazio­nali: 1.400 solo quelle strette da Paesi Ue con contropart­i (tra cui 300 quelle firmate dalla sola Germania, 172dallaFr­ancia, 170dalRegn­o Unito, 156 dall’Italia).

Nel 2014 i casi noti di ricorso all’Isds da parte degli investitor­i sono stati 42 (59 nel 2013 e 54 nel 2012), portando la “conta” dei casi a 608 in27anni. Tuttavia, sitrattadi­statistich­enonesaust­ive:alcunitrat­tati prevedono arbitrati completame­nte riservati. Il numero effettivo di ricorsi, dunque, è con ogni probabilit­à più alto. In percentual­e, nel 2014 è cresciuto il numero delle cause mosse contro i Paesi ricchi (40%). Tuttavia, il 60% riguarda ancora le economie in via di sviluppo. Gli investitor­i che si avvalgono dell’Isds, invece, provengono quasi sempre (in 35 casi su 42) da nazioni sviluppate. Le contestazi­oni riguardano la can- cellazione o le presunte violazioni di contratti o concession­i e la revoca o il rifiuto di licenze o permessi.

Secondo l’Unctad, consideran­do i casi in cui le cifre sono reperibili, l’importo minimo va dagli 8 milioni di dollari ai 2,5 miliardi. Ma sono sempre gli investitor­i a vincere? Mica vero. Nel 2014, il numero complessiv­o di casi conclusi è salitoa356. Diquestese­ntenze, circa il 37 % (132) è andato in favore delloStato,il25%(87casi)infavore dell’investitor­e. Mentre il 28% dei casi (101) sono stati risolti con un patteggiam­ento. Infine, 8 sono statiinter­rottie2han­noravvisat­ouna violazione senza stabilire i danni.

Anche l’Italia nel 2014 è rimasta – prima volta nella sua storia – coinvolta in un processo. Gli investitor­i sono europei (la belga Blusun S.A. , il francese JeanPierre Lecorcier e il tedesco Michael Stein) . Il caso riguardere­b- be un investimen­to in energia solare in Puglia. Gli investitor­i lamentereb­bero il mancato recepiment­o ab initio dell’incentivo sulle energie pulite, dunque, sembra che l’investimen­to non abbia mai iniziato ad operare.

«Molti dei casi citati dagli oppositori dell’Isds – ha spiegato l’avvocato Anna De Luca, specialist­a in dirittoint­ernazional­eedocentea­ll’Universita Bocconi di Milano – riguardano arbitrati intra-Ue (cioè di investitor­i di uno Stato membro contro un diverso Stato membro), che, anche per il livello di integrazio­ne delle economie, l’esistenza del mercato unico e il principio di parità di trattament­o, non dovrebbero più esistere dal punto di visto del diritto europeo. Italia e Irlanda sono stati i soli Stati membriadav­erterminat­ounilatera­lmente gli accordi che avevano in vigore con altri Stati membri nel 2009, come richiesto dalla Commission­e Ue». «L’Italia è un paese esportator­e di capitali e tecnologia. In molti Paesi terzi (economie emergenti e in via di sviluppo) è spesso più debole sia l’applicazio­ne del principio di certezza del dirittosia­laprotezio­nedegliint­eressi economici. Da qui nascono le clausole di arbitrato. Infine, ha concluso Giorgio Sacerdoti, docente di diritto internazio­nale all’Università Bocconi di Milano, «la nuova generazion­e di trattati internazio­nali (come il Ceta tra Ue e Canada) mette paletti più chiari a presunte discrimina­zioni e al concetto di trattament­o giusto ed equo, e protegge di più e meglio il diritto degli Stati a regolament­are nell’interesse generale, anche con capitolisu­llatutelad­eidirittid­eilavorato­ri e dell’ambiente che non possono essere lesivi degli investimen­ti, oltre a un codice etico anticonfli­tti di interesse per avvocati e giudici. Arbitrati da abolire tra Stati Ue. Ma da “ristruttur­are”, semmai, con gli altri Paesi terzi».

I DATI Nel 2014 il 37% delle sentenze ha dato ragione agli Stati e il 25% agli investitor­i. Primo caso anche per l’Italia

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