Il favore fuori competenze non è abuso d’ufficio
l’abuso d’ufficio per l’assistente amministrativo in un istituto superiore che fa partecipare il nipote all’esame di ammissione a una classe superiore malgrado non abbia i requisiti. Per far scattare il reato, previsto dall’articolo 323 del codice penale è, infatti, necessario che l’azione contestata rientri nei poteri d’ufficio di chi la commette e, nel caso esaminato, il compito di verificare le carte in regola del condidato era del dirigente scolastico.
Una lettura in punta di diritto, che porta la Suprema corte (sentenza 19105) a giudicare inammissibile il ricorso del Procuratore generale contro la decisione della Corte d’Appello di ribaltare il verdetto di colpevolezza del tribunale assolvendo l’imputato. Secondo il Pg la “clemenza” era ingiustificata: il reato c’era. Per l’accusa la Corte di merito aveva sbagliato ad assolvere partendo dal presupposto che esulava dai poteri d’ufficio dell’amministrativo l’”aiutino” dato al nipote per sostenere la prova di ammissione al III liceo scientifico senza aver frequentato il V ginnasio. L’assistente nell’ambito della sua attività, secondo il Pg, aveva personalmente istruito e portato a buon fine la pratica, tacendo sul “particolare” mancante.
Una condotta tale da rientrare nel raggio d’azione dell’arti- colo 323 e decisamente in rotta di collisione con la Costituzione che, con l’articolo 97, vieta i favoritismi imponendo il principio di imparzialità della pubblica amministrazione e l’obbligo di collaborazione per i dipendenti pubblici.
La Cassazione però bolla la conclusione del Pg come inammissibile, perchè non prende in considerazione gli argomenti, validi, della sentenza impugnata.
La Suprema corte ricorda che il reato in questione va escluso quando «il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio agisce al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni anche se la condotta posta in essere è occasionata dallo svol- gimento delle stesse». Nel caso specifico il risultato di far partecipare il nipote alla prova era stato raggiunto dall’assistente malgrado non spettasse a lui verificare i requisiti ma al dirigente scolastico, mentre sul via libera o meno all’idoneità l’ultima parola spettava alla Commissione esaminatrice.
In base a questo ragionamento il bluff contestato è privo di qualunque «efficacia causale rispetto a quella partecipazione».
Per l’imputato era già caduta in primo grado, con sentenza diventata definitiva sul punto, anche l’ accusa di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.