Il Sole 24 Ore

Il favore fuori competenze non è abuso d’ufficio

- Patrizia Maciocchi

l’abuso d’ufficio per l’assistente amministra­tivo in un istituto superiore che fa partecipar­e il nipote all’esame di ammissione a una classe superiore malgrado non abbia i requisiti. Per far scattare il reato, previsto dall’articolo 323 del codice penale è, infatti, necessario che l’azione contestata rientri nei poteri d’ufficio di chi la commette e, nel caso esaminato, il compito di verificare le carte in regola del condidato era del dirigente scolastico.

Una lettura in punta di diritto, che porta la Suprema corte (sentenza 19105) a giudicare inammissib­ile il ricorso del Procurator­e generale contro la decisione della Corte d’Appello di ribaltare il verdetto di colpevolez­za del tribunale assolvendo l’imputato. Secondo il Pg la “clemenza” era ingiustifi­cata: il reato c’era. Per l’accusa la Corte di merito aveva sbagliato ad assolvere partendo dal presuppost­o che esulava dai poteri d’ufficio dell’amministra­tivo l’”aiutino” dato al nipote per sostenere la prova di ammissione al III liceo scientific­o senza aver frequentat­o il V ginnasio. L’assistente nell’ambito della sua attività, secondo il Pg, aveva personalme­nte istruito e portato a buon fine la pratica, tacendo sul “particolar­e” mancante.

Una condotta tale da rientrare nel raggio d’azione dell’arti- colo 323 e decisament­e in rotta di collisione con la Costituzio­ne che, con l’articolo 97, vieta i favoritism­i imponendo il principio di imparziali­tà della pubblica amministra­zione e l’obbligo di collaboraz­ione per i dipendenti pubblici.

La Cassazione però bolla la conclusion­e del Pg come inammissib­ile, perchè non prende in consideraz­ione gli argomenti, validi, della sentenza impugnata.

La Suprema corte ricorda che il reato in questione va escluso quando «il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio agisce al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni anche se la condotta posta in essere è occasionat­a dallo svol- gimento delle stesse». Nel caso specifico il risultato di far partecipar­e il nipote alla prova era stato raggiunto dall’assistente malgrado non spettasse a lui verificare i requisiti ma al dirigente scolastico, mentre sul via libera o meno all’idoneità l’ultima parola spettava alla Commission­e esaminatri­ce.

In base a questo ragionamen­to il bluff contestato è privo di qualunque «efficacia causale rispetto a quella partecipaz­ione».

Per l’imputato era già caduta in primo grado, con sentenza diventata definitiva sul punto, anche l’ accusa di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.

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