Una «custodia» ben motivata
Come cambiano i compiti di giudici e avvocati dopo le modifiche introdotte dalla legge 47 Criteri più precisi e oggettivi per evitare eccessi nel ricorso al carcere
p «Stop alle manette facili» si è detto per annunciare la legge 47 del 16 aprile 2015, intervenuta sulla disciplina della carcerazione preventiva e delle altre misure cautelari personali, in vigore dall’8 maggio. Naturalmente, come sempre, lo «stop» dipenderà dalla sensibilità “interpretativa”digiudiciepubblici ministeri. Nondimeno, la legge non fa mistero del proposito di richiamare gli interpreti al rispetto dei canoni probatori e all’osservanza degli obblighi motivazionali delle decisioni e di ricordare che il carcere è – come si usa dire – l’extrema ratio.
L’intervento normativo investe numerosi temi: tra i più “caldi” quello concernente le esigenze cautelarieirelativicriteridivalutazione; l’ampliamento dell’area applicativa delle misure interdittive; la ridefinizione dei termini del giudiziodiriesameedeipoteridecisori di quel giudice. La legge è in larga parte frutto del lavoro della Commissione istituita il 10 giugno 2013, voluta dal precedente ministro della Giustizia e presieduta da Giovanni Canzio; lavoro più ampio e animato, nella parte delle misure cautelari personali, dall’obiettivo di ridimensionare «l’area della restrizione della libertà personale, con speciale riguardo alla custodia cautelare in carcere», per ottemperare sia alle Raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, sia all’umiliante condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’8 gennaio 2013 (Torreggiani c. Italia) e al conseguente, severo monito della Corte costituzionale (sentenza 279/2013) che ribadiscono la necessità e l’obbligo di «una riduzione al minimo del ricorso alla custodia cautelare in carcere».
Tra gli interventi più significativi ci sono quelli sull’articolo 274 Cpp, per le disposizioni sulle esigenze cautelari che legittimano l’adozione del carcere preventivo e delle altre misure personali. Il pericolo di reiterazione di determinati delittidev’essereora, oltrecheconcreto, «attuale». Il riferimento all’attualità del pericolo può apparire ridondante ma così non è. Oltre a essere uno dei simboli della ratio dell’intervento normativo, mette a fuoco un altro dei requisiti della motivazione dell’ordinanza applicativa della misura, contenitore trasparente del modo in cui il giudice applica lo standard probatorio definito dalla legge. D’altra parte, più precise sono le regole di valutazione, più si attenua il rischio dell’abuso delle misure cautelari personali(inparticolareilrischiocheil giudiceseneservacomemezzoper raggiungere la prova o le consideri meritata anticipazione della pena) e la libertà diventa “sicura” (non “provvisoria” come un tempo ormai lontano, quando il legislatore nonsinascondevadietroleparole).
La nuova legge ha voluto precisare che «le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del reato per cui siprocede». Sivuolecosìevitareche la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza assorba di fatto la valutazione delle esigenze cautelari, in relazione alla quale occorre invece una motivazione autonoma e specifica, che tenga conto effettivamente dellecircostanzedelfattoedellapersonalitàdell’indiziato. Questocertamente è uno dei punti sui quali si misureràil“successo” dellariforma.
L’esperienza insegna che, per la congruità della motivazione in ordine alle esigenze cautelari e ai connessi profili di adeguatezza della misura prescelta, i provvedi- menti de libertate lasciano spesso a desiderare. Sonofrequenti, invero, le prospettazioni che, da un lato, non fuoriescono da un sostanziale tautologico rinvio agli addebiti cautelari rivolti all’indagato, dall’altro, trascurano completamente