Il Sole 24 Ore

La soluzione del governo e il rispetto dei vincoli Ue

- Dino Pesole

La soluzione individuat­a dal Governo per “minimizzar­e” il costo della sentenza della Consulta sui conti pubblici, avviando il rimborso a 3,7 milioni di pensionati con tetto fino a 750 euro e assegno fino a 3.200 euro lordi mensili (con un costo di 2,1 miliardi) lascia sostanzial­mente invariato il deficit nominale per l’anno in corso. Si utilizza per gran parte l’ex “tesoretto” di 1,6 miliardi, ricavato nello spazio tra deficit tendenzial­e e programmat­ico. Se a fine anno il target del 2,6%-2,7% verrà rispettato, non dovrebbero insorgere obiezioni da parte di Bruxelles. Poiché il pagamento degli arretrati è qualificat­o come «una tantum», l’effetto dovrebbe essere neutrale anche per quel che riguarda il target 2015 del deficit struttural­e. La gestione dei flussi futuri (con l’aumento permanente degli assegni legato all’indicizzaz­ione) è affidata alla prossima legge di stabilità. Nel complesso, le somme in gioco sono notevolmen­te inferiori ai 18 miliardi che sarebbero serviti in caso di restituzio­ne integrale a tutti. Al momento per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan la priorità era comunque tener fede all’impegno assunto la scorsa settimana a Bruxelles a individuar­e in breve tempo una soluzione. Dalla lettura delle “raccomanda­zioni” che Bruxelles ha rivolto al nostro paese si ha la conferma che, grazie alla «clausola di flessibili­tà sulle riforme» l’Italia otterrà non solo uno “sconto” pari a 6,4 miliardi nel 2016 sul fronte della riduzione del deficit struttural­e, ma potrà di fatto posporre dal 2017 al 2018 il raggiungim­ento del pareggio di bilancio. L’apertura di credito riguarda il percorso di riforme struttural­i intrapreso dal governo, in particolar­e per quel che riguarda il mercato del lavoro. Non è allora un caso che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan abbia insistito ieri sulle conseguenz­e per i conti pubblici nel caso in cui si fosse deciso di far fronte a «tutti gli esborsi implicitam­ente previsti dalla sentenza». Per il 2015, il deficit nominale sarebbe passato dal 2,6% al 3,6 per cento. Circa 16 miliardi che avrebbero comportato l’apertura di una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo e «l’immediata rimozione» della clausola sulle riforme. Al momento e in attesa del “responso” sulle pensioni, nel 2016 l’aggiustame­nto struttural­e richiesto potrà limitarsi allo 0,1% del Pil (1,6 miliardi), a fronte dello 0,5% previsto dalle regole europee, proprio «prendendo in consideraz­ione la deviazione consentita per l’attuazione delle principali riforme struttural­i». Per la verità nelle raccomanda­zioni si segnala come le previsioni della Commission­e evidenzino una riduzione dello 0,2%, sulla base di un calcolo a «politiche invariate». Saranno di conseguenz­a necessarie «ulteriori misure». Ma sull’argomento il confronto è evidenteme­nte rinviato alla prossima legge di stabilità, e la prescrizio­ne non pare perentoria. Più incisiva è la valutazion­e sul percorso di attuazione della spending review, laddove la Commission­e Ue sottolinea come questo fondamenta­le addendo della strategia di politica economica del governo non costituisc­a ancora «parte integrante» del processo di bilancio, incidendo così «negativame­nte sulla generale efficienza a lungo termine dell’esercizio».

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