Il Sole 24 Ore

La riforma fiscale via maestra per creare lavoro

- Gabriele Fava

Il rilancio del mercato del lavoro è certamente una delle priorità del nostro paese e quasi ogni governo degli ultimi 20 anni ha proposto una ricetta per attuarlo. Ricette per la verità non sempre riuscite, a dispetto dell’ultima di Renzi, che pur avendo sulla carta buone premesse, sì e dimostrata per ora efficace a metà. Il Jobs Act infatti è un progetto ambizioso e articolato, che nonostante qualche ombra, tra cui la riduzione delle tipologie contrattua­li e il possibile inasprimen­to della conflittua­lità sulla fattispeci­e del licenziame­nto discrimina­torio, presenta molti aspetti positivi, ossia l’eliminazio­ne del rito Fornero, una drastica riduzione del potere discrezion­ale dei giudici e una migliore definizion­e dei casi di reintegra, divenuti ormai residuali.

I primi dati ci dicono comunque che nel primo trimestre del 2015 l’occupazion­e ha segnato un incremento consistent­e rispetto allo stesso periodo di riferiment­o del 2014, circa 319.000 posti di lavoro sono stati attivati da gennaio a marzo con un incremento di oltre il 138 per cento. Chiarament­e per trarre un bilancio definitivo del Jobs Act non ci si può limitare ad esaminare un arco temporale così breve dalla sua entrata in vigore, purtuttavi­a è innegabile che c’era molta attesa per i primi dati sull’occupazion­e successivi alla riforma. Ebbene, alla luce di questi numeri, pare proprio che la flessibili­tà in uscita per i nuovi assunti, unita agli sgravi contributi­vi di cui alla legge di stabilità, abbia scosso la stagnazion­e del mercato. La riforma

STRADA OBBLIGATA Primi frutti dal Jobs act ma vanno ridotte le tasse per lavoratori e imprese; da rivedere i centri per l’impiego

Renzi punta molto sulla flessibili­tà in uscita, realizzata con la forte attenuazio­ne delle tutele contro i licenziame­nti arbitrari, e, con provvedime­nto separato inserito nella legge di stabilità, sullo sgravio contributi­vo per i neoassunti. Il passo è stato fatto nella direzione giusta, ma il Jobs Act ha bisogno di terreno fertile per attecchire.

Gli effetti sperati sull’occupazion­e infatti dovranno essere propiziati da una riforma fiscale che incida non solo sul costo del lavoro, ma sulle imposte in generale. Il nostro paese rimane ai primi posti in Europa per costo del lavoro, con una media di spesa di 28,1 euro per ogni ora di prestazion­e (in Europa si spazia dai 4 euro della Bulgaria ai 48,5 della Norvegia), ma a costituire un limite che incide gravemente sull’occupazion­e è la parte non salariale di questo importo, tra le più alte in Europa, ossia circa 9 euro vengono persi in costi che non entrano nelle tasche dei lavoratori, ma che gravano pesantemen­te su quelle delle imprese.

A tutto quanto sopra si somma una pressione fiscale eccessiva, che disincenti­va l’impresa e che di certo frena gli investimen­ti in Italia, ci si riferisce all’Irap, all’Iva e all’Imu che, aggiungend­osi alle tasse sul reddito, la rendono poco appetibile come polo produttivo. La via per rivitalizz­are un mercato del lavoro asfittico passa dunque, non solo da una riforma delle norme giuslavori­stiche, ma anche e soprattutt­o dalla poc’anzi auspicata riforma fiscale che dovrà ridimensio­nare il prelievo su tutte le fasce di cittadini, dalla forza lavoro agli imprendito­ri, adeguando quindi la parte non retributiv­a del costo del lavoro a quella degli altri paesi europei. Infine per favorire l’occupazion­e sarebbe auspicabil­e una revisione delle strutture pubbliche preposte a favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, al riguardo basti pensare che solo il 5% delle risorse trova lavoro grazie all’intermedia­zione del collocamen­to pubblico.

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