A migliaia in fuga dal terrore di Ramadi
Il Pentagono ammette: la caduta della città in mano all’Isis è una battuta d’arresto
pRamadi, il capoluogo della provincia sunnita di al-Anbar, la più estesa dell’Iraq, potrebbe diventare presto teatro di uno dei più violenti scontri tra le milizie dell’Isis e quelle dell’esercito di Baghdad, appoggiato dalla coalizione internazionale guidata dagli Usa, che da mesi colpisce le postazioni dello Stato islamico con raid aerei senza tuttavia sortire i risultati sperati.
Con un’avanzata che ha preso ancora una volta in contropiede il Governo di Baghdad e gli alleati occidentali, le milizie dello Stato islamico sono riuscite domenica a conquistare tutta la città di Ramadi, un centro di 500mila abitanti sull’Eufrate a 120 km da Baghdad. Almeno 500 persone sono morte mentre 8mila civili hanno abbandonato la città. I testimoni raccontano di crimini efferati ed esecuzioni di massa compiute dall’Isis.
Per l’esercito iracheno, ma soprattutto per il premier sciita Haider al-Abadi, è pesante sconfitta. La riconquista di Tikrit, altra roccaforte sunnita ripresa all’Isis due mesi fa, aveva infuso fiducia ed entusiasmo. Anche se era stata possi- bile grazie all’afflusso dei guerriglieri della Mobilitazione Popolare (Hashid Shaabi), la milizia sciita irachena sostenuta dall’Iran.
Da ieri mattina una lunga colonna armata di 3mila miliziani sciiti si è posizionata intorno a una base militare a 30 km da Ramadi, pronti a riprendere la città. Ora tra le file dell’Isis, in crisi finanziaria e uscita da una serie di insuccessi militari, è tornato l’entusiasmo. «Dopo Ramadi libereremo Baghdad e Kerbala!». Il messaggio audio attribuito al califfo Abu Bakr al-Baghdadi, già diffuso la settimana scorsa, offre un esempio efficace di come la macchina della propaganda jihadista abbia ripreso forza.
Lungi dall’essere sconfitto, l’Isis ha dimostrato di essere ancora organizzato e agguerrito. Quel- lo che si profila sarà uno scontro duro e imprevedibile. Le incognite sono molte. A cominciare dalla popolazione che vive nella provincia simbolo della comunità sunnita irachena. La domanda che tutti si pongono è se, e come, le tribù locali accoglieranno le milizie sciite, sostenute dal loro avversario di sempre, l’Iran. Oppure - pur non condividendo l’ideologia né i mezzi brutali - preferiranno schierarsi con gli jihadisti dell’Isis, intenzionati a mostrarsi come i paladini contro l’espansione sciita nelle terre sunnite?
A conferma del clima di sfiducia verso il governo di Baghdad un noto leader tribale di al-Anbar in esilio a Erbil ha avvertito che il dispiegamento delle milizie Hashid Shaabi mostra la vera intenzione di Baghdad. «Vogliono distruggere la cittadella, far breccia nelle mura in modo che gli Hashid possano entrarvi e diffondere la religione sciita». Un altro leader tribale, lo sceicco Abu Majid al-Zoyan, ha precisato: «A questo punto dobbiamo dare il benvenuto a qualsiasi forza che accorrerà per liberarci dalla morsa dello Stato Islamico». Consapevole del ri-
Abitanti di Ramadi in fuga verso Baghdad. Sulla loro città da sabato sventola la bandiera nera dello Stato Islamico schio di una carneficina interetnica capace di divampare al resto dell’Iraq, il governo iracheno ha invitato le tribù sunnite ad accettare l’aiuto delle milizie sciite.
Appoggiare le milizie filoiraniane o restare neutrali, con il rischio di vedere poi la bandiera dello Stato islamico nuovamente alle porte di Baghdad? In questa situazione confusa gli Stati Uniti hanno deciso di schierarsi - da giorni stanno martellando con raid aerei le postazioni Isis ad al-Anbar - ponendo tuttavia delle condizioni. Dopo un incontro con Sabah Karhut, presidente del Consiglio provinciale di al-Anbar, l’ambasciatore americano in Iraq, Stewart Jones , ha dato il via libera all’arrivo delle milizie sciite a patto che rispondano solo agli ordini del premier al-Abadi.
Anbar evoca ricordi tristi per la Washington. In questa provincia, roccaforte della resistenza, quasi 1.300 soldati americani persero la vita durante l’invasione del 2003 e negli anni che seguirono. Ieri un portavoce del Pentagono ha ammesso che la caduta di Ramadi è «una battuta d’arresto», ma ha assicurato che le forze irachene, con l’aiuto della coalizione guidata dagli Usa, riprenderanno la città. Truppe di terra Usa, per ora, non sono previste, hanno comunque specificato fonti militari americane all’agenzia Reuters.
BATTAGLIA DECISIVA Le milizie sciite si stanno posizionando attorno alla roccaforte sunnita per riconquistarla. Ma ora i jihadisti mirano a Baghdad