Le tentazioni populiste e le paure di Parigi
tutta in salita l’approvazione delle proposte della Commissione europea sulla ridistribuzione degli immigrati già presenti sul territorio comunitario. Le decisioni dovrebbero essere prese a maggioranza qualificata. La Gran Bretagna può non partecipare perché gode di una clausola di esenzione. Molti paesi dell’Est sono contrari. Alla Spagna non piacciono i criteri su cui si baserebbero le quote. Da Berlino e Roma, il benestare di massima c’è. Parigi, invece, tentenna. I motivi sono almeno due.
Nei giorni scorsi, il ministro degli Interni Bernard Cazeneuve aveva salutato con soddisfazione l’idea di Bruxelles di adottare quote per distribuire immigrati nei 28 paesi dell’Unione. Nel fine settimana, il premier Manuel Valls ha fatto marcia indietro. Lo sguardo del primo ministro corre ai sentimenti della pubblica opinione, sedotta dalle tesi anti-immigrazione del Front National, ma anche del Front de Gauche. Stretto a sinistra, a destra, e dall’ex presidente Nicolas Sarkozy, anch’egli critico delle quote, il partito socialista è diventato improvvisamente freddo.
Il secondo motivo, legato al primo, è che il sistema di quote previsto dalla Commissione rischia di imporre alla Francia di accogliere un numero di rifugiati più elevato che in passato. Nel 2014, il paese ha registrato l’11% del totale delle domande d’asilo ricevute dai Ventotto. La quota di accoglienza francese prevista da Bruxelles è pari al 14% del totale, al netto di una eventuale ridistribuzione degli immigrati rifiutati dal Regno Unito (e dagli altri due paesi che godono di esenzione: Irlanda e Danimarca).
Per la Germania, il sistema di quote ridurrebbe significativamente il numero degli immigrati accolti nella Repubblica Federale. Per l’Italia, la proposta comunitaria non cambierebbe molto la sostanza. Per la Francia, invece, il progetto della Commissione modifica il quadro, con un probabile aumento delle persone a cui concedere ospitalità. A Parigi, le estremità della scena elettorale, a due anni dalle prossime presidenziali, continuano a influenzare l’atteggiamento politico dei partiti più tradizionali.