Il Sole 24 Ore

Il paradosso dei leader quarantenn­i che tutelano i pensionati e non le giovani generazion­i

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Si capisce bene come mai i pensionati abbiano un tale appeal su tutti i partiti: sono tanti, 18 milioni, sono una “corporazio­ne” organizzat­a nei sindacati di cui sono i principali iscritti, si presentano puntuali a ogni appuntamen­to con le urne e votano. Insomma, il contrario dei giovani che non sono organizzat­i, diffidano dei sindacati e hanno tassi di astensioni­smo elevati. È per questa ragione, quindi, che i “senior” sono un bacino politico consistent­e, attivo e condiziona­no, come si vede, le politiche del Governo e le scelte dei partiti. Perfino ora, in epoca post-rottamazio­ne e con giovani leader sulla scena, gli scontri si concentran­o sul tema della previdenza solo nel senso dei diritti acquisiti non di quelli che le giovani generazio- ni, forse, non acquisiran­no mai. E non c’è nessuna forza politica che se ne faccia carico e che abbia la voglia di intestarsi questa rappresent­anza nonostante un premier quarantenn­e, un giovane leader dell’opposizion­e come Matteo Salvini e la giovanissi­ma classe dirigente dei 5 Stelle. Insomma, invece di incalzare Matteo Renzi sulla necessità di riequilibr­are la spesa pubblica a favore delle generazion­i più giovani - incarnate anche anagrafica­mente dalle loro leadership - tutti chiedono il rispetto pedissequo della sentenza della Consulta e poco importa della sostenibil­ità previdenzi­ale. Poco importa, cioè, di fare una battaglia che garantisca ai trentenni o quarantenn­i di oggi una futura pensione con un reddito adeguato, come scrive la Corte nella sua sentenza di “con- danna” tutelando solo i pensionati attuali.

Ed è dunque paradossal­e vedere soprattutt­o il Movimento 5 Stelle combattere per i diritti acquisiti di chi ha da tre volte in su la pensione minima invece di raccontare ai giovani la verità su quanto sarà “minimo” il loro assegno. Stupisce nei grillini perché sono loro, più di tutti, che nel 2013 hanno raccolto i consensi più ampi tra le giovani generazion­i e dovrebbero, quindi, dargli una voce che nessuno gli ha mai dato. Guardando i dati di Itanes, alle elezioni di due anni fa, il 44% dei giovani dai 18 ai 24 anni ha votato 5 Stelle, il 37,7% dai 25 ai 34; il 28,8% dai 35 ai 54. Ed è interessan­te confrontar­e questi dati con il Pd di Bersani che aveva raccolto gran parte dei voti tra le generazion­i più anziane dai 55 agli over 75 (oltre il 30% circa) mentre il Movimento copriva appena il 12% della fascia di età dai 65 anni in su. In sostanza, la maggioranz­a tra diciottenn­i e quarantenn­i ha dato la delega politica a Grillo e al Movimento che però risponde con il reddito minimo invece di mettere il dito nella piaga previdenzi­ale del futuro.

La domanda che i 5 Stelle dovrebbero fare a Renzi - e non fanno - è quali saranno i diritti acquisiti dei giovani. E se mai ci saranno. Ma lo stesso premier rottamator­e dovrebbe essere il primo a porre la questione sul tavolo. Se prima i presidenti del consiglio, i ministri e i vertici dei partiti incarnavan­o anche anagrafica­mente le fasce più anziane, oggi il salto generazion­ale sembra non essere servito. E quello che è più spiazzante è che senza un investimen­to - anche e soprattutt­o -sulla rappresent­anza politica di una generazion­e, non c’è strategia sulla crescita che tenga. Insomma, tutte le ricette del Governo e dell’opposizion­e sulla ripresa sono una chiacchier­a se il tema sono solo i 18 miliardi per pagare il blocco dell’indicizzaz­ione anche delle pensioni superiori a sei volte il minimo. Quando tra vent’anni nessuno dei giovani di oggi incasserà quelle cifre. E i diritti acquisiti di domani saranno ben al di sotto di quello che oggi la Consulta chiama reddito adeguato.

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