Il vero confronto è sulle quote europee
Soddisfazione a metà, dunque, per le notizie in arrivo da Bruxelles. Ad attenuare gli entusiasmi ci sono le prese di posizione di alcuni partner europei e in particolare delle non meno “mediterranee” Francia e Spagna, che vorrebbero sfilarsi dal sistema di ripartizione proposto dalla Commissione la settimana scorsa. Il sistema rappresenta, sulla carta, il superamento del principio di Dublino, in base al quale la responsabilità di accoglienza del migrante spetta al Paese di primo sbarco: non ha funzionato, cinque Paesi in questi anni si sono ritrovati a gestire il 72% delle domande d’asilo. Tra i grandi Paesi, per fortuna (e per convenienza) c’è la Germania al fianco dell’Italia che grazie alle quote accoglierà molti meno migranti di quanto non è stata costretta a fare l’anno scorso. La Francia ha cambiato idea perché dovrà accoglierne di più (il 14% del totale contro l’11% del 2014). L’Italia, per la quale si profila un “risultato” neutro, rischia di trovarsi isolata. Il nostro Paese è la piattaforma sulla quale continuano a premere i flussi migratori di due aree devastate dalla povertà e dai conflitti: l’Africa, anche quella Subsahariana, e il Medio Oriente. La Libia è l’avamposto di una fuga di proporzioni bibliche che abbraccia Niger, Mali, Corno d’Africa, Yemen, Siria, Iraq e che probabilmente tra non molto vedrà un afflusso di umanità disperata anche dal Burundi, sconvolto dalla guerra civile. Impegnarsi in una grande missione navale potrebbe non servire a nulla se non si attenua la pressione – e la gestione dei migranti che ne consegue – sulla porta d’accesso più importante. Che è, ricordiamolo: Italia, Europa.
L’anonimato della madre naturale va reso più flessibile. Lo aveva affermato un anno e mezzo fa la Corte costituzionale quando aveva dichiarato incostituzionale quella parte della legge sulle adozioni che, nel disciplinare il diritto del figlio adottato a conoscere le proprie origini, precludeva, senza alcuna possibilità di modifica di tale volontà, l'accesso all'identità della madre che aveva partorito in anonimato (Sent. 278/2013). La sentenza, nel sottolineare l'eccessiva rigidità di una norma che rendeva irreversibile la scelta per l'anonimato, ribadiva però la necessità che il legislatore individuasse un bilanciamento tra il diritto della donna alla riservatezza e il diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Tanto è vero che, come acutamente osservava sulle colonne di questo giornale Paolo Morozzo della Rocca, una cosa è il diritto alla riservatezza della donna, altra è quello alla conservazione all'anonimato. In questo caso il bilanciamento, pur essendo sostanziale, passa per aspetti esclusivamente procedimentali, come hanno riconosciuto gli stessi giudici: sta al legislatore trovare le modalità di accesso ai dati identificativi e le modalità