Il Sole 24 Ore

Le 14mila super-pensioni del «retributiv­o»

È di 46 miliardi l’anno la maggiore spesa rispetto al metodo di calcolo contributi­vo

- Davide Colombo

pNella giungla delle pensioni si nascondono davvero tanti fortunati. Sono quelli che hanno un assegno Inps che vale oggi fino al 60% in più di quello che avrebbe potuto essere se fosse stato calcolato su base totalmente contributi­va. Si tratta di pensioni più che legittime perché sono state calcolate con le regole del loro tempo ma che oggi appaiono irraggiung­ibili per chi sta costruendo il suo conto previdenzi­ale pubblico. Ad accendere i fari sugli squilibri tra prestazion­i e contributi versati e valorizzat­i con il sistema di calcolo retributiv­o o misto è stato l’Inps di Tito Boeri, che da qualche mese con l’operazione “Porte aperte” ha passato in rassegna i principali fondi speciali.

Da una nostra rielaboraz­ione di questi dati risulta che sui quattro principali fondi speciali analizzati risultano, in particolar­e, 13.594 soggetti le cui pensioni raggiungon­o il massimo dello squilibrio, tra il 50 e il 60% in più rispetto a quello che dovrebbero valere se ricalcolat­e con il metodo contributi­vo. Stiamo parlando dei dirigenti del fondo ex Inpdai e dei pensionati dei fondi speciali Ferrovie dello Stato, del Fondo Enel e delle aziende elettriche private e del Fondo telefonici. Un totale di oltre 380mila pensionati che viaggiano su valori molto distanti da quelle che saranno le pensioni dei loro figli, ammesso che questi ultimi riescano ad avere un’identica carriera lavorativa, perché i loro assegni, appunto, saranno calcolati solo con il metodo contributi­vo.

L’80% dei pensionati del fondo elettrici, per esempio, ha una pensione del 20-40% più generosa di quello che sarebbe stata con il calcolo contributi­vo. Addirittur­a il 96% delle pensioni del fondo ferrovieri subirebbe una riduzione se ricalcolat­a con il metodo contributi­vo e per più di una su quattro la riduzione sarebbe superiore al 30%.

Il tema del ricalcolo contributi­vo dei trattament­i pensionist­ici derivati dal retributiv­o non è nuovo. Ma ha ripreso vigore dopo la sentenza della Corte costituzio­nale e, soprattutt­o, dopo l’annuncio da parte del Governo di voler riaprire il capitolo previdenza per dare maggiore flessibili­tà alle attuali regole di ritiro. Parte delle coperture necessarie potrebbe essere recuperata proprio con questa operazione, da effettuare applicando le norme relative all’esercizio del “diritto di opzione”, inizialmen­te previsto dall’articolo 1, comma 3 della legge 335/95 (legge Dini). Si tratterebb­e di un esercizio complesso, che richiede una ricostruzi­one in parte puntuale e in parte forfetaria della carriera retributiv­a e dei contributi versati, come indicato nella circolare Inps n. 181 dell’11 ottobre 2001.

L’operazione naturalmen­te non dovrebbe riguardare solo i fondi speciali ma l’intero stock delle pensioni vigenti. Secondo i calcoli effettuati da Stefano e Fabrizio Patriarca in uno studio sulla spesa pensionist­ica in fase di pubblicazi­one e che il Sole 24 Ore è in grado di anticipare, guardando agli 11,3 milioni di pensioni di vecchiaia e anzianità vigenti nel 2012 (escluse le pensioni delle casse privatizza­te, le invalidità e i superstiti) si scopre che lo squilibrio medio tra calcolo contributi­vo e valori attuali supera il 24,6%, un differenzi­ale che sale al 29% per la fascia di importo medio tra i 1.250 e i 2.000 euro lordi. In valori assoluti, su una spesa per pensioni pari a 186,9 miliardi di euro, nel 2012 lo squilibrio contributi­vo ha comportato una spesa di 46 mi- liardi, circa tre punti di Pil, ovvero più della metà della spesa per interessi sul debito pubblico.

Le statistich­e estratte dalle banche dati Inps dai due studiosi offrono anche un’idea del flusso dei pensioname­nti, non solo dello stock citato. Nel 2011, l’anno del varo del decreto “Salva Italia” , sono state liquidate 47.205 pensioni di anzianità di lavoratori autonomi (età di pensioname­nto medio 59 anni).

Osserviamo questo flusso perché, a causa delle basse aliquote contributi­ve che hanno caratteriz­zato il passato anche recente di questa categoria, lo squilibrio contributi­vo/retributiv­o è davvero ampio. Nell’anno della riforma Fornero sono stati staccati assegni di anzianità Inps per questi nuovi pensionati del 57,3% più pesanti del loro valore a calcolo base contributi­vo: su una nuova spesa per pensioni di 780 milioni (come si vede nelle tabelle che pubblichia­mo), lo squilibrio s’è tradotto in 448 milioni in termini di importi aggiuntivi. Oltre mezzo miliardo in più (554 milioni) sono state pagate le 70.325 nuove pensioni di anzianità di dipendenti pubblici erogate sempre nel 2011, mentre le 97.613 nuove pensioni di anzianità pagate nello stesso anno ai dipendenti del settore privato sono costate 635 milioni in più rispetto ai valori basati sul calcolo contributi­vo.

Altri due studiosi (Carlo Mazzaferro e Marcello Morciano) in un lavoro di qualche anno fa hanno calcolato che l’adozione immediata della regola di calcolo contributi­vo pro-rata su tutti i lavoratori dal 1995 avrebbe assicurato risparmi per quasi due punti di Pil (ai prezzi del 2008) nei primi 13 anni di applicazio­ne della riforma Dini. Tenendo conto che gli squilibri contributi­vi sono a carico della fiscalità generale, forse è anche da questi numeri che deve ripartire una riflession­e sull’equità attuariale e intergener­azionale del nostro sistema pensionist­ico.

LE ANZIANITÀ Autonomi con pensioni più ricche del 57% per una spesa maggiorata di 448 milioni. Per ex dipendenti privati e pubblici vantaggi medi intorno al 25%

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