Il Sole 24 Ore

«I clan usano i club per avere consenso»

Presidente commission­e proposte sulla lotta alle mafie

- Di Giovanni Minoli

Nicola Gratteri, 57 anni, calabrese. Magistrato. Impegnato in prima linea nella lotta alla ’ndrangheta. Vive sotto scorta da 25 anni. Procurator­e aggiunto della Repubblica di Reggio Calabria, è uno dei magistrati più conosciuti della Dda.

Il governo l’ha nominata presidente della Commission­e per elaborare le proposte di legge per la lotta alla criminalit­à. Il lavoro è concluso?

È stato depositato i primi di gennaio.

È stato recepito dalla proposta Orlando di riforma della giustizia?

Ancora piccole cose, il grosso è fermo.

La riforma della giustizia andrà in aula subito?

No. Il Parlamento a me pare un lavandino otturato: ci sono sullo stesso tema tre, quattro, cinque proposte. C’è molto traffico: ci vuole un buon vigile urbano all’incrocio.

L’Europa ha chiesto certezza sui tempi della giustizia civile, accusandoc­i di inefficien- ze gravi.

L’Europa non può dare lezioni all’Italia. Perché? L’Europa è encefalogr­amma piatto, una comunità economica che non si interessa di sicurezza e di giustizia. Sono all’anno zero nella lotta alle mafie: dovrebbero copiare il sistema giudiziari­o italiano e migliorarl­o.

Qual è la specificit­à della ’ndrangheta?

È stata sempre sottovalut­ata come una “mafia stracciona” col cappello in mano. Ha fatto affari alla grande.

Quanto vale il business della coca nel mondo?

Per quanto riguarda l’ndrangheta 44 miliardi l’anno.

In che settore investono soprattutt­o?

Nel terziario, grande distribuzi­one, alberghi, ristoranti pizzerie, investono da Roma in su in tutta Europa, America del nord e Australia.

Lei parla con molta chiarezza del rapporto tra la chiesa e la ’ndrangheta. È un rapporto occasional­e o c’è di più in Calabria?

Farsi vedere vicino a un prete, vicino a un vescovo è importante. È una forma di esternazio­ne del potere per uno ’ndrangheti­sta. È come quando diventa presidente di una squadra di calcio.

Anche il calcio è uno strumento?

È una forte forma di pubblicità. Essere presidenti o mandare un prestanome come presidente di una squadra di calcio è importanti­ssimo. È un collettore formidabil­e di consenso.

Le intercetta­zioni sono fondamenta­li per fare le inchieste ma quello che non c’entra va stralciato?

Noi abbiamo previsto che nell’informativ­a vengano inserite solo i pezzi d’intercetta­zione che riguardano il corpo del capo di imputazion­e, tutto ciò che riguarda la vita privata, il pettegolez­zo, il gossip non va sull’informativ­a. Abbiamo previsto una pena che va dai 2 ai 6 anni non perché il giornalist­a andrà in carcere, ma per avere la possibilit­à di intercetta­re il giornalist­a e capire chi è stato il pubblico ministero o la polizia giudiziari­a che gli ha dato la notizia.

«Essere presidenti di una squadra di calcio è una forte forma di pubblicità»

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Il magistrato. Nicola Gratteri (a destra) con Gianni Minoli

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