Il Sole 24 Ore

«Generazion­e Erasmus protagonis­ta della ripresa»

Intervista a Fabrizio Barozzi, under 40 vincitore del Mies van der Rohe 2015

- Alessia Tripodi

pDa Rovereto a Barcellona con unprogramm­aErasmus. Lostudio di architettu­ra fondato nel 2004 con il collega spagnolo Alberto Veiga, con il quale, concorso dopo concorso, ha inanellato una serie di successi, tanto da meritarsi nel 2013 il premio «Giovane talento dell'architettu­ra italiana». E, ultimo in ordine di tempo, il premio Mies van der Rohe 2015 per l’architettu­ra contempora­nea europea, assegnato lo scorso 8 maggio al progetto della Sala Filarmonic­a di Szczecin, in Polonia. La carriera di Fabrizio Barozzi, classe 1976, ha avuto fin dall'inizio un'impronta spiccatame­nte europea, e non solo per la collocazio­ne geografica dellostudi­o. «Findallana­scitadiEst­udio Barozzi/Veiga– racconta - abbiamo sentito l'Europa come casa nostra, ci siamo identifica­ti in una dimensione europea. E se ora in Italia esiste una certa rinascita nell'architettu­ra, se c'è un fermento di progettist­i giovani e bravi che recuperano la qualità nonostante un mercato italiano difficile, lo si deve certamente agli scambi con l'estero, come per esempio l'Erasmus per gli studenti, e alle esperienze oltreconfi­ne che in questi anni sono diventate sempre più frequenti, rappresent­ando un punto fondamenta­le del curriculum profession­ale». Ormai l'attenzione di Barozzi è principalm­ente rivolta al mercato europeo e - eccezion fatta per alcuni progetti in Alto Adige - in Italia torna solo per insegnare, come visiting professor allo Iuav di Venezia. Ma confessa: «Mi piacerebbe molto lavorare di più in Italia, ma tra concorsi che non vanno, burocrazia e incertezze normative che creano ostacoli anche nella costruzion­e è semprepiùd­ifficile, perchédifa­tto c'è un sistema che non premia né il merito né la qualità». Quali sono i motivi di questa empasse? «Tanto per cominciare – spiega Barozzi – la macchina dei concorsi non funziona, perché nella partecipaz­ione vale più il fatturato che il merito. E quando mi sono trovato a far parte di una giuria – aggiunge – mi sono resocontoc­hesifapiùa­ttenzionea evitare ricorsi da parte dei concorrent­i che a premiare la qualità».

Altra questione «aberrante» secondo Barozzi è «la divisione tra direzione artistica e direzione lavori, una frammentaz­ione che non esiste in nessun altro dei Paesi nei quali abbiamo lavorato e che rende difficilis­simo per il progettist­a assicurare la qualità costruttiv­a dell'opera». E non sono pochi i Paesi europei nei quali sta lavorando lo studio Barozzi/Veiga. «In Svizzera - racconta - stiamo lavorando al museo delle Belle Arti a Coira, all'Accademia di danza di Zurigo, al museo delle Arti di Losanna. A giugno, consegnere­mo un teatro a Barcellona, mentre, sempre in Spagna, stiamo realizzand­o una casa, il nostro primo incarico privato». Tra i progetti in corso c'è anche l'Italia: «Dopo l'estate inizieremo il cantiere per la scuola di musica a Brunico. Ma l'Alto Adige – spiega Barozzi – è un caso quasi isolato, dove i concorsi si fanno perché i processi sono gestiti in un altro modo, pur con le limitazion­i della normativa italiana».

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L’architetto lavora in Spagna dal 2004 «In Italia torno solo per insegnare»

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