Il Sole 24 Ore

Un modello ancora valido

- Di Gianfranco Fabi

Se fosse un libro giallo ci sarebbero tutti gli ingredient­i, tranne uno, il vero movente. C’è infatti la vittima: le grandi banche popolari. C’è il colpevole: il Governo. C’è l’arma del delitto: il decreto legge del 20 gennaio. Ci sono i complici: il Parlamento che ha approvato la conversion­e in legge con solo piccole modifiche. C’è il mandante: la Banca d’Italia e, in secondo piano, la Banca centrale europea. Ci sono le motivazion­i apparenti: la ricerca di una maggiore solidità del sistema bancario e di maggior credito a famiglie e imprese.

Manca quindi, almeno per ora, il vero movente. Per ora. Perché nei prossimi mesi si capirà con chiarezza chi era pronto da tempo e uscirà allo scoperto per sfruttare questo provvedime­nto permettend­ogli di conquistar­e posizioni di potere e di vantaggio economico.

Parliamo del decreto legge recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimen­ti approvato dal Governo il 20 gennaio, presentato alla Camera dei deputati il 24 gennaio, approvato in prima lettura il 12 marzo e convertito definitiva­mente in legge dal Senato, dopo che il Governo aveva posto questione di fiducia il 24 marzo, giusto sul filo di lana prima della decadenza. (…)

La riforma delle banche popolari non appare solo ingiustifi­cata nel metodo, appare anche 1) autoritari­a nella forma, con un iter parlamenta­re concluso in tempo solo grazie al voto di fiducia, 2) illiberale nei contenuti, perché viola l’autonomia di importanti soggetti economici; 3) ideologica nella sua filosofia, ispirata ad uno statalismo che non riconosce il valore della sussidiari­età, 4) velleitari­a negli obiettivi, perché punta ad uno sviluppo del credito per istituti che hanno già fatto il loro dovere molto meglio delle altre categorie, 4) rischiosa nell’attuazione, perché lascia campo aperto all’arrivo dei fondi speculativ­i e di interessi estranei alle economie locali, 5) isolata nella strategia, perché nessun altro paese europeo ha imposto trasformaz­ioni simili ed anzi i grandi paesi, come Germania e Fran- cia, pur se in forme diverse, hanno difeso il carattere e rispettato l’autonomia delle banche popolari.

Intendiamo­ci. Non c’è nulla di male, anzi in qualche caso può essere anche positivo, che grandi banche nate e cresciute come popolari si trasformin­o volontaria­mente in società per azioni, magari con qualche vincolo statutario per mantenere particolar­i forme di rappresent­anza. Quello che stona nel provvedime­nto voluto dal Governo è l’imposizion­e dall’alto, l’introduzio­ne del tutto arbitraria di una barriera di 8 miliardi negli attivi, l’abolizione di vincoli basati sulla sana prudenza come quello di nominare gli amministra­tori tra i soci cooperator­i. In pratica la volontà di uniformare tutte le grandi banche allo stesso modello giuridico fondato sul capitale. (…)

L’attacco alle banche popolari è un altro capitolo dell’insofferen­za della politica verso le espression­i di democrazia economica e sociale. Un segno del privilegia­re la logica del capitale su quella della centralità delle persone, un esempio del prevalere degli interessi tecnocrati­ci sui valori dell’autonomia e della sussidiari­età.

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