Un modello ancora valido
Se fosse un libro giallo ci sarebbero tutti gli ingredienti, tranne uno, il vero movente. C’è infatti la vittima: le grandi banche popolari. C’è il colpevole: il Governo. C’è l’arma del delitto: il decreto legge del 20 gennaio. Ci sono i complici: il Parlamento che ha approvato la conversione in legge con solo piccole modifiche. C’è il mandante: la Banca d’Italia e, in secondo piano, la Banca centrale europea. Ci sono le motivazioni apparenti: la ricerca di una maggiore solidità del sistema bancario e di maggior credito a famiglie e imprese.
Manca quindi, almeno per ora, il vero movente. Per ora. Perché nei prossimi mesi si capirà con chiarezza chi era pronto da tempo e uscirà allo scoperto per sfruttare questo provvedimento permettendogli di conquistare posizioni di potere e di vantaggio economico.
Parliamo del decreto legge recante misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti approvato dal Governo il 20 gennaio, presentato alla Camera dei deputati il 24 gennaio, approvato in prima lettura il 12 marzo e convertito definitivamente in legge dal Senato, dopo che il Governo aveva posto questione di fiducia il 24 marzo, giusto sul filo di lana prima della decadenza. (…)
La riforma delle banche popolari non appare solo ingiustificata nel metodo, appare anche 1) autoritaria nella forma, con un iter parlamentare concluso in tempo solo grazie al voto di fiducia, 2) illiberale nei contenuti, perché viola l’autonomia di importanti soggetti economici; 3) ideologica nella sua filosofia, ispirata ad uno statalismo che non riconosce il valore della sussidiarietà, 4) velleitaria negli obiettivi, perché punta ad uno sviluppo del credito per istituti che hanno già fatto il loro dovere molto meglio delle altre categorie, 4) rischiosa nell’attuazione, perché lascia campo aperto all’arrivo dei fondi speculativi e di interessi estranei alle economie locali, 5) isolata nella strategia, perché nessun altro paese europeo ha imposto trasformazioni simili ed anzi i grandi paesi, come Germania e Fran- cia, pur se in forme diverse, hanno difeso il carattere e rispettato l’autonomia delle banche popolari.
Intendiamoci. Non c’è nulla di male, anzi in qualche caso può essere anche positivo, che grandi banche nate e cresciute come popolari si trasformino volontariamente in società per azioni, magari con qualche vincolo statutario per mantenere particolari forme di rappresentanza. Quello che stona nel provvedimento voluto dal Governo è l’imposizione dall’alto, l’introduzione del tutto arbitraria di una barriera di 8 miliardi negli attivi, l’abolizione di vincoli basati sulla sana prudenza come quello di nominare gli amministratori tra i soci cooperatori. In pratica la volontà di uniformare tutte le grandi banche allo stesso modello giuridico fondato sul capitale. (…)
L’attacco alle banche popolari è un altro capitolo dell’insofferenza della politica verso le espressioni di democrazia economica e sociale. Un segno del privilegiare la logica del capitale su quella della centralità delle persone, un esempio del prevalere degli interessi tecnocratici sui valori dell’autonomia e della sussidiarietà.