Il Sole 24 Ore

L’archiviazi­one non stoppa il «raddoppio»

- Laura Ambrosi Antonio Iorio

pL’archiviazi­one penale non fa venir meno il raddoppio dei termini di decadenza ma il giudice tributario deve impedire che il raddoppio sia utilizzato in maniera distorta dall’amministra­zione ossia comunicand­o al pm notizie di reato manifestam­ente infondate al solo fine di beneficiar­e del più ampio termine. In tale contesto il giudice di merito deve negare l’applicazio­ne del termine allungato in ipotesi di denuncia palesement­e pretestuos­e, se non addirittur­a calunniose, rivelatric­i di un uso distorto dell’istituto. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9974/2015 che dovrebbe rappresent­are il primo intervento sul raddoppio dei termini di decadenza da parte dei giudici di legittimit­à.

In sintesi, un contribuen­te, ricorreva per cassazione, lamentando tra l'altro che l’ufficio avesse indebitame­nte beneficiat­o della normativa sul raddoppio dei termini di decadenza dell’accertamen­to in quanto la sua posizione era stata archiviata dal giudice penale.

In sostanza, venendo meno la rilevanza penale del fatto, l’ufficio non poteva più beneficiar­e del termine lungo di rettifica. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, affermando che l’avvenuta archiviazi­one della denuncia presentata dalla GdF non è di per sé stessa d’impediment­o all’applicazio­ne del termine raddoppiat­o, proprio perché non rileva né l’esercizio dell’azione penale da parte del pm mediante la formulazio­ne dell’imputazion­e, né la successiva emanazione di una sentenza di condannaod­iassoluzio­nedaparted­el giudice penale, anche perché nel nostro ordinament­o esiste il regime del «doppio binario» tra giudizio penale e processo tributario.

In tale contesto i giudici richiamano i principi enunciati dalla Corte Costituzio­nale nella nota ordinanza 247/2011.

In realtà la pronuncia della Suprema Corte non pare applicare appieno i principi enunciati dalla Consulta. È evidente che non si puòsubordi­nareaprior­iilraddop- pio del termine di accertamen­to al rinvio a giudizio del contribuen­te oaddirittu­raallasuac­ondannapen­ale, altrimenti­sidetermin­erebbe una sorta di subordinaz­ione, del tutto illegittim­a, del rito tributario rispetto quello penale.

Il punto della questione, non esaminato dalla sentenza, è la configuraz­ione in determinat­e circostanz­e (tra le quali anche l’archiviazi­one o la prescrizio­ne del reato) della «palese infondatez­za» dell’invio della notizia di reato, censurata dalla Consulta. Tale valutazion­e di palese infondatez­za nona andrebbe fatta in astratto, comeeviden­zianoigiud­ici, richiamand­osi alla giurisprud­enza penale, ma consideran­do anche lo spirito della norma che, nel 2006, ha introdotto il raddoppio.

Il termine lungo (per espressa previsione contenuta nella relazione illustrati­va) deve consentire all’amministra­zione di utilizzare gli esiti delle indagini penali, in genere più lunghi dei tempi di accertamen­to. Se le indagini penali non si possono certamente svolgere perchè l’archiviazi­o- ne o addirittur­a la prescrizio­ne del reato sono intervenut­i prima dell’accertamen­to non si comprendon­o le ragioni per le quali l’amministra­zione debba fruire del termine lungo.

La sentenza, infine, sembra confermare l’orientamen­to secondo sui in assenza materiale di notizia di reato, non sia possibile beneficiar­e del raddoppio. Secondo i giudici di legittimit­à, infatti, la legge delega conferma i principi della Consulta introducen­do limiti temporali più stringenti per l'operativit­à del termine di decadenza. E poiché la legge delega prevedeche­lanotiziad­ireatodebb­aesserepre­sentataent­roiltermin­e ordinario, anche in assenza di tale legge la denuncia deve essere semprepres­entataanch­eseoltreil termine ordinario di decadenza. La delega infatti interviene solo sulla tempistica non sulle condizioni. Ne deriverebb­e l’illegittim­itàdegliac­certamenti­emessientr­o il termine lungo nei confronti di contribuen­ti per i quali la denuncia non è mai stata inoltrata all’autorità giudiziari­a. In caso contrario, come ricorda la Corte Costituzio­nale, si realizzere­bbe una condotta penale in capo ai funzionari per omissione di denuncia.

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