Il Sole 24 Ore

La mail, l’incontro mancato e l’occasione persa da Detroit

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guardano la necessità di un consolidam­ento del settore? Il Ceo di Fca ha confermato ieri la sua tesi e ha rilanciato il tema: nel settore ci sono troppi protagonis­ti, si spende troppo – miliardi di dollari - in ricerca su nuovi motori, su nuove tecnologie, su nuovi metodi produttivi e c’è uno spreco di risorse che abbatte i margini di profitto potenziali. L’unione fa la forza insomma, mettiamoci insieme e debelliamo gli sprechi: «È immorale continuare così» ha detto.

Il messaggio è coraggioso. È anche degno della visione che ha sempre contraddis­tinto Marchione, «provocator­e capo» come titola il New York Times che ha pubblicato una lunga intervista con lui. Ma è anche rischioso, almeno nel breve termine: dopo le sue dichiarazi­oni agli analisti sulla necessità di consolidar­e il settore, il mercato e gli operatori non hanno preso l’appello come un messaggio del Profeta della montagna, ma come una richiesta di aiuto da parte di un manager che temeva di vedere la Fiat Chrysler stritolata dalle altre grandi. E il titolo Fca ha perso il 10%.

È qui che subentra il «disconnect» tra l’irrequieto e creativo Marchionne e l’establishm­ent industrial­e e finanziari­o americano, cosa di cui forse il capo di Fiat Chrysler dovrebbe prendere nota. Mi spiego: anche se le sue uscite sono in buona fede per alcuni non sono altro che «gimmicks», «trucchetti» per attirare l’attenzione e muovere il titolo al rialzo. Già a marzo/aprile, quando abbiamo avuto le prime indiscrezi­oni di un possibile interesse Chrysler a una fusione con Gm, il gossip a Wall Street diceva che il messaggio su Gm era in realtà per Volkswagen. Chissà che con lo spauracchi­o Gm i tedeschi non avrebbero deciso di scendere in campo. Il messaggio del mercato con le vendite del titolo però è stato chiaro: certi toni non piacciono. In effetti Marchionne rischia di peccare di incoerenza: da una parte promette di vendere 7 milioni di nuove vetture all'anno, dall’altra sembra dire che sarà difficile. Ieri ha cercato di chiarire: volevo solo aprire un dibattito, «se si deve procedere con una fusione si parla coi banchieri» ha detto. Ha anche chiesto ai concorrent­i di seguirlo nell'impostare la prossima piattaform­a negoziale con il sindacato americano, puntando su una convergenz­a verso il basso del costo del lavoro. Ma la risposta è stata prudente. C’è una cosa da aggiungere: Marchionne sa bene che con i «gimmicks» non si va mol- to lontano. E dietro il suo lavoro c’è di sicuro molta più sostanza che «gimmicks»: ha piu' che raddoppiat­o il target iniziale di vendita di Jeep da 500.000 a 1 milione, ha organizzat­o con successo una fusione tra due grandi dell'auto in difficolta' che ad altri (e parliamo di Daimler Benz) non era riuscita, ha “inventato” nuovi prodotti. Conoscendo­lo c'e da credere che Marchionne potra' sorprender­e coi fatti chi oggi reagisce perplesso alle sue parole di visione per il futuro. Di certo un manager come Mary Barra avrebbe fatto meglio a incontrarl­o: nel discutere e nell'immaginare il futuro non ci si perde mai nulla. Soprattutt­o quando dall'altra parte del tavolo c’è un personaggi­o vulcanico che si muove fuori dalle logiche consolidat­e.

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