L’impresa padovana si manifestò come un’«opera d’arte totale», con progetti pensati in ogni minimo dettaglio, dai dipinti agli arredi
Tra i c o mpit i d e l l a b uona scuola, l’apertura al nuovo e il rispetto del passato sono forse quelli cruciali. L’ha ben capito in Italia l’Università di Padova che lo scorso anno ci ha stupito con il restauro del millenario Orto Botanico e con la realizzazione di una nuova, modernissima ala con il Giardino delle Biodiversità.
Quest’anno l ’ Ateneo paravino torna a stupirci con l’apertura al pubblico dell’intero complesso monumentale del Bo, l a sua storica sede nel centro cittadino, che nei fine settimana – a partire dal giugno – prevede la possibilità di visitare uffici, aule e sale(compresa quella del rettore) che nei giorni lavorativi ospitano la consueta attività didattica e gestionale dell’Ateneo.
L’iniziativa promossa dal rettore Giuseppe Zaccaria ha un illustre precedente storico, cui si riallaccia con pertinente continuità di intenti: quella cioè dell’illustre archeologo Carlo Anti che, dal 1932, per undici anni, ricoperse la carica di rettore dell’Università promuovendo un grandioso e lungimirante piano di rinnovamento, di modernizzazione e di ampliamento degli edifici universitari, che trovò il suo fulcro nella sistemazione dello storico Palazzo del Bo e nella costruzione ex novo del Palazzo Liviano, sede da allora della facoltà di lettere e filosofia.
Il punto di partenza fu, nel 1933, i l concorso per l a nuova sede del Liviano, che si i nseriva all’ i nterno di una più generale politica nazionale, come dimostra i l caso, forse più noto al pubblico, della città universitaria di Roma disegnata sulle diretti- ve di Marcello Piacentini. Se questa sorgeva su un’area completamente l i bera, nel caso di Padova si doveva mettere mano al classico l abirinto di stratificazioni delle città i taliane, come testimonia ancor oggi l a popolare denominazione del Palazzo centrale – i l Bo, cioè i l Bove – che rimanda alle origini stesse dell’università patavina . A quell’anno 1493, cioè, quando i l propri e t ar i o del l ’ anti c o hospi t i um b o v i s , un’accreditata l ocanda con stalle, cedette l ’ edificio a Bernardo Gil di Valenza, rettore dei giuristi. Fu nel secolo s uccessi v o però c he pr e s e a configurarsi l ’ assetto architettonico del nuovo complesso i n un l ungo processo di riammodernamenti, t r asformazioni e ampliamenti cui diede un contributo decisivo l ’ architetto Andrea Moroni. A quell’epoca d’oro risale i l suo più noto gioiello architettonico : i l Tea t r o Anat o mico, l a p r i ma s a l a scientifica permanente del mondo, i naugurato nel 1595 e utilizzato con continuità sino al 1872.
Il ricordo del Teatro e la grande Aula Magna, frequentata anche da Galilei, contribuiscono a rafforzare la percezione del Bo come un venerando edificio storico, quasi che tutto il resto nient’altro fosse che una serie di trascurabili aggiunte o di pasticciate trasformazioni. Forse, suggerisce il rettore Zaccaria, anche perché inconsapevolmente pesa sul “nuovo” l’aura nefasta del Ventennio fascista che pure, in questo caso, fece da incubatore per traghettare l’antico nella modernità . L’intenzione dunque è quella di ampliare l’offerta del turismo culturale, facendo toccare con mano l’originalità di un percorso che si svolge organicamente tra rinascimento e razionalismo, all’insegna di un programma unitario e tutto sommato visionario che poneva al centro il richiamo all'unità delle arti.
Di questo programma Gio Ponti e Carlo Anti furono i due artefici principali e, in fondo, due complici compiacenti. Dalla loro affiatata intesa, infatti, nacque quel vero capolavoro di pragmatismo rivoluzionario che aprì le porte della veneranda istituzione ai migliori pittori e scultori del tempo , arrivando a trasformarla in un vero e proprio ( e sinora quasi sconosciuto) museo Campigli – grande passione della sua vita d’artista – che Ponti impose ad Anti venendone ricompensato con una delle più intense testimonianze della pittura del ’900, oltre che dal figurare lui stesso, accanto ad Anti, nella parte alta della grande parete.
Ma esiste anche un altro aspetto assai singolare della sua partecipazione all’impresa padovana: Ponti disegnò con la maniacale minuzia t i pica della t radizione viennese dell’ « opera d’arte totale » anche i più minuti arredi dell’appartamento di rappresentanza e delle sale di laurea al primo piano. Si occupò di tutto, dalle sedie ai tavoli, agli armadi agli attaccapanni fino a pavimenti ( di marmo, legno e linoleum). Tutto doveva essere una “mostra” globale dell’arte italiana, e gli unici altri straordinari esempi che gli possono essere accostati sono la villa Planchart a Caracas ( miracolosamente intatta in ogni suo dettaglio) e l’Istituto Italiano di Stoccolma.
L’iniziativa di Padova ha dunque il merito ulteriore di mettere a portata di mano di ogni turista italiano un tesoro di ottimismo progettuale e di fiducia nella vitalità delle nostre istituzioni.
Per orari e programmi delle visite:
www.unipd.it