Il Sole 24 Ore

I punti deboli della difesa del governo Tsipras

- Riccardo Sorrentino

«Non è solo falso. È evidenteme­nte assurdo». Ha ragione Yanis Varoufakis quando respinge le accuse di scarso rigore per il suo paese? Il ministro delle Finanze di Atene, parlando a un pubblico di esperti - sia pure nella forma dell’articolo di giornale - si affida a due numeri: la riduzione del deficit struttural­e cumulato dal 2009 al 2014, e l’andamento del pil nominale (pil reale e deflazione).

I due numeri sono un argomento forte, soprattutt­o quando le politiche e le performanc­e della Grecia sono paragonate - secondo i dati di Varoufakis - a quelle di altre economie. La decrescita del pil nominale (la misura su cui si valuta la sostenibil­ità dei debiti) è stata vicina al 25%, mentre la riduzione del deficit struttural­e ha raggiunto i 18 punti percentual­i. Nessun altro paese ha subito una decrescita del pil superiore all’8%: solo Cipro e Spagna, anzi, hanno visto calare questo aggregato, che è rimasto sostanzial­mente stabile in Portogallo. Nessun altro paese ha poi ridotto il deficit struttural­e di oltre sette punti. L’Italia ha compresso il suo disavanzo di 2,5 punti circa, mentre il suo pil nominale è salito del 2,5% circa.

Varoufakis si è fermato qui. Se si volesse sposare la sua tesi si potrebbero aggiungere altri dati e fatti: la competitiv­ità della Grecia in base al costo del lavoro - dati Bce - è migliorata dal 2008 del 21%, contro ilo 0,7% della Germania: i salari privati greci sono calati del 16%. Il cambio reale si è deprezzato del 12% quasi. Anche il Fondo monetario, nel rapporto pubblicato a maggio 2014 - riconoscev­a che Atene aveva fatto più del necessario, che il paese sarebbe tornato alla crescita nel 2014 ma anche che le esportazio­ni, escludendo il turismo, erano ancora deboli malgrado l’aumento della competitiv­ità.

Sono dati interessan­ti che rendono però molto debole un altro argomento di Varoufakis, il paragone tra il suo paese a la Gran Bretagna, che nel 2010 aveva un deficit simile a quello greco. È vero, come è vero che la Bank of England ha seguito una politica monetaria molto più efficace di quella della Bce. La Grecia, però, non è la Gran Bretagna. Era ed è rimasta un paese debole, poco competitiv­o , piuttosto chiuso al commercio internazio­nale - esporta soprattutt­o materie prime e prodotti agricoli - che non poteva né crescere usando il risparmio futuro ,come ha fatto indebitand­osi, né sostenere politiche così dure.

Il punto è che c’è ancora troppo moralismo, sulla Grecia. Quando nell’analisi della situazione, come è giusto, si rinuncia a cercare ragioni e torti, meriti e colpe - l’errore è stato di creditori e debitori, perché sapevano - e ci si concentra su costi e benefici, diventano chiari non solo e non tanto gli errori delle politiche economiche di Atene e dei programmi di risanament­o, quanto i punti su cui ntervenire: per esempio sulle 555 restrizion­i alla concorrenz­a individuat­e dall’Ocse, sui numerosi ostacoli alla nascita di nuove imprese e quindi di nuovi posti, in poche parole in quella qualità degli interventi che le cifre, purtroppo, non riescono del tutto a catturare. Tutte misure sulle quali si è insistito troppo poco, rispetto all’enfasi data al risanament­o fiscale, e che richiedono tempo, quel tempo che ora alla Grecia non si vuol più dare.

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