I punti deboli della difesa del governo Tsipras
«Non è solo falso. È evidentemente assurdo». Ha ragione Yanis Varoufakis quando respinge le accuse di scarso rigore per il suo paese? Il ministro delle Finanze di Atene, parlando a un pubblico di esperti - sia pure nella forma dell’articolo di giornale - si affida a due numeri: la riduzione del deficit strutturale cumulato dal 2009 al 2014, e l’andamento del pil nominale (pil reale e deflazione).
I due numeri sono un argomento forte, soprattutto quando le politiche e le performance della Grecia sono paragonate - secondo i dati di Varoufakis - a quelle di altre economie. La decrescita del pil nominale (la misura su cui si valuta la sostenibilità dei debiti) è stata vicina al 25%, mentre la riduzione del deficit strutturale ha raggiunto i 18 punti percentuali. Nessun altro paese ha subito una decrescita del pil superiore all’8%: solo Cipro e Spagna, anzi, hanno visto calare questo aggregato, che è rimasto sostanzialmente stabile in Portogallo. Nessun altro paese ha poi ridotto il deficit strutturale di oltre sette punti. L’Italia ha compresso il suo disavanzo di 2,5 punti circa, mentre il suo pil nominale è salito del 2,5% circa.
Varoufakis si è fermato qui. Se si volesse sposare la sua tesi si potrebbero aggiungere altri dati e fatti: la competitività della Grecia in base al costo del lavoro - dati Bce - è migliorata dal 2008 del 21%, contro ilo 0,7% della Germania: i salari privati greci sono calati del 16%. Il cambio reale si è deprezzato del 12% quasi. Anche il Fondo monetario, nel rapporto pubblicato a maggio 2014 - riconosceva che Atene aveva fatto più del necessario, che il paese sarebbe tornato alla crescita nel 2014 ma anche che le esportazioni, escludendo il turismo, erano ancora deboli malgrado l’aumento della competitività.
Sono dati interessanti che rendono però molto debole un altro argomento di Varoufakis, il paragone tra il suo paese a la Gran Bretagna, che nel 2010 aveva un deficit simile a quello greco. È vero, come è vero che la Bank of England ha seguito una politica monetaria molto più efficace di quella della Bce. La Grecia, però, non è la Gran Bretagna. Era ed è rimasta un paese debole, poco competitivo , piuttosto chiuso al commercio internazionale - esporta soprattutto materie prime e prodotti agricoli - che non poteva né crescere usando il risparmio futuro ,come ha fatto indebitandosi, né sostenere politiche così dure.
Il punto è che c’è ancora troppo moralismo, sulla Grecia. Quando nell’analisi della situazione, come è giusto, si rinuncia a cercare ragioni e torti, meriti e colpe - l’errore è stato di creditori e debitori, perché sapevano - e ci si concentra su costi e benefici, diventano chiari non solo e non tanto gli errori delle politiche economiche di Atene e dei programmi di risanamento, quanto i punti su cui ntervenire: per esempio sulle 555 restrizioni alla concorrenza individuate dall’Ocse, sui numerosi ostacoli alla nascita di nuove imprese e quindi di nuovi posti, in poche parole in quella qualità degli interventi che le cifre, purtroppo, non riescono del tutto a catturare. Tutte misure sulle quali si è insistito troppo poco, rispetto all’enfasi data al risanamento fiscale, e che richiedono tempo, quel tempo che ora alla Grecia non si vuol più dare.