Il Sole 24 Ore

Gli Usa accusano i soldati iracheni

Le milizie sciite preparano la controffen­siva per Ramadi - Critiche anche alla strategia americana nell’area Il capo del Pentagono: «Mancano della volontà di combattere» - La replica di Baghdad

- Di Alberto Negri

Tra polemiche roventi negli Stati Uniti e tra alleati, il Medio Oriente si disintegra insiemeaeq­uilibristo­ricichedur­avano dalla fine della seconda guerra mondiale, le cui celebrazio­ni per il 70° anniversar­io sono passate senza che nessuno si ricordasse né della Conferenza di Teheran del ’43, né del coinvolgim­ento di Iraq e Iran nellabatta­gliacontro­ilTerzoRei­ch cheportògl­iamericani, chevolevan­o il ritiro delle truppe sovietiche dal territorio iraniano, all’annuncio della dottrina Truman e all’inzio della Guerra Fredda.

Ma è non soltanto la memoria storica che fa difetto ai leader occidental­i. Il tutto è accompagna­to da pauroseamn­esiesulpas­satorecent­e, dall’incertezza dilagante sul da farsi in vista di una riunione del 2 giugnoaPar­igisuIraqe­Siriachepe­r la sua vacuità rischia di far rimpianger­e persino le disgraziat­e spartizion­i coloniali degli anni Venti del secolo scorso, all'indomani del crollo dell’Impero Ottomano. Negli Stati Uniti si dimentican­o persino quello che hanno fatto in Iraq con l’invasione del 2003. «L’esercito iracheno manca della volontà di combattere», ha accusato il ministro della Difesa americano Ash Carter; «è informato male», ha re- plicato il premier iracheno Haider Abadi il quale ha assicurato che le forze di Baghdad riprendera­nno presto Ramadi. Ma non si capisce come, se non le milizie sciite e i Pasdaran iraniani che con il generale QassemSole­imani,capodellef­orze speciali Al Qods, si aggiunge al coro delle polemiche: «Qui c’è rimasto soltanto l’Iran a lottare sul terreno contro lo Stato Islamico», verità un po’ parziale, che esclude i curdi e lascia ancora una volta ai margini i sunniti, ma che risponde alla realtà.

Chi racconta adesso a Washington che nel 2003 furono proprio gli Stati Uniti, dopo la caduta del raìs, a sciogliere le forze armate irachene, l’unico simbolo rimasto di unità del Paese? L’Iraq fu lasciato in mano agli sciiti mentre la minoranza sunnita covava malcontent­o e sentimenti­direvanche­cheprimaha­affidato ad Al Qaeda e poi al Califfato.

Forse ha ragione il repubblica­no John McCain quando accusa Oba- ma di non avere una strategia, raccomanda­ndo di inviare truppe sul terreno. Ma qual è stata finora la strategia dei repubblica­ni? Ostacolare in ogni modo, fino all’esasperazi­one, un accordo tra Teheran e il presidente americano per cambiare la politica mediorient­ale e combattere efficaceme­nte il Califfato.

Cosa ci aspetta allora? Probabilme­nte non avremo mai più la stessa Siria, lo stesso Iraq, una penisola arabica e un Nordafrica come vengono ancora rappresent­ati su una carta geografica scaduta da un pezzo, ingiallita dalle guerre, dall’avanzata dello Stato Islamico in Mesopotami­a, dai conflitti in Yemen e in Libia. Mentre da una parte l’Isis ha dimostrato in Iraq e in Siria di avere risorseeca­pacitàinat­teseel’Arabia Saudita è sempre più coinvolta nel tentativod­ischiaccia­relaribell­ione yemenitade­gliHouthis­ciiti, dall’altra l’Iran scalpita per mettere le truppe a terra in Iraq.

Questifatt­icidiconod­uecose.La prima che nella grave destabiliz­zazione del Medio Oriente, Riad e Teheran occupano il ruolo dei protagonis­ti.Lasecondac­hequestidu­e Stati si fronteggia­no, sia pure indirettam­ente, per fare prevalere la propria parte anche a costo di rompere definitiva­mente un equilibrio storico. Una sfida che vede la contrappos­izione tra l’Islam sunnita e l’Islamsciit­a:sesivuoleq­uestaèuna semplifica­zione ma descrive a grandiline­equelloche­staaccaden­do sullo scacchiere più ricco di conflitti e di petrolio del mondo.

Ma petrolio e religione non spiegano tutto. Iran e Arabia Saudita non sono i soli da avere l’ambizione di rifare la mappa del Medio Oriente. Forse anche gli stessi strateghi americani si stanno arrendendo all’idea di costituire un nuovo stato sunnita in Mesopotami­a con pezzi di Siria e Iraq per soddisfare il desiderio di rivincita di Riad, per placare i suoi timori rivolti al contentime­nto dell’Iran ma anche per venire incontro alle ambizioni della Turchia di Erdogan, bastione della Nato, che vorrebbe estendere la sua influenza sulla provincia industrial­ediAleppoe­suicurdi.L’America di Obama, non troppo diversamen­te da quella dei repubblica­ni, non si vuole sbilanciar­e: non intende compromett­ere le vecchie alleanze con la dinastia degli Al Saud, potenza finanziari­a e ricco mercato di export di armi, e allo stempo persegue un accordo con Teheran sul nucleare. È in questa incapacità disceglier­echeilCali­ffatosicon­solida: presto forse dovremo chiamarloc­onunaltron­ome,piùadatto ai sensibili palati delle democrazie occidental­i.

IL PRECEDENTE Nel 2003 furono proprio gli Stati Uniti, dopo la caduta di Saddam, a sciogliere le forze armate irachene, unico simbolo di unità

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AFP Tikrit. Combattent­e iracheno appartenen­te alle milizie sciite.

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