Il Sole 24 Ore

Più attrezzati sui mercati perché capaci di investire

- Paolo Bricco

Una prima novità struttural­e, emersa da poco con evidenza dalle statistich­e, è l’esistenza – sui mercati globali – di una internazio­nalizzazio­ne munita (finalmente) di due gambe. C’è l’export. E ci sono anche gli investimen­ti diretti all’estero. Negli ultimi dieci anni gli osservator­i contrari all’ipotesi di declino del nostro capitalism­o manifattur­iero – desumibile da una lettura main stream dei dati macro sull’economia italiana – hanno usato come perno concettual­e delle proprie tesi prima di tutto l’andamento dell’export. Nei loro ragionamen­ti, una economia avanzata che riesce a vendere così bene – anche in valore – i propri prodotti non può avere un profilo caduco e cadente. Il +7,7% registrato nei primi quattro mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2014 nei flussi commercial­i extra Ue (storicamen­te i meno consistent­i, per una economia eurocentri­ca come la nostra) mostra la fibra robusta e persistent­e di una specializz­azione economica a cui sembra essersi aggiunto ciò che che, negli ultimi 25 anni, è mancato: la capacità (e la voglia) di insediarsi all’estero. Non solo per i big player. Ma anche per le Pmi. Sotto questo profilo, la conferma della natura exportorie­nted della nostra economia appare rafforzata anche dalla nuova vocazione investment-oriented: 12,5 miliardi di euro nel 2014, il triplo del 2014, secondo la banca dati Reprint. Ancora poca cosa rispetto ad altri concorrent­i, Germania in testa. Ma, in ogni caso, una dinamica che – unita appunto alla robustezza dell’export – induce all’ottimismo.

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