Armatori in debito: arrivano gli hedge
L’armamento italiano ha 13 miliardi di dollari di debiti con banche
Gliarmatorisuonanoilcampanello d’allarme sui fondi speculativi. Gli hedge fund stanno entrando, infatti, nel mondo dello shipping, sull’onda della lunga crisi globale che ha messo in difficoltà molte compagnie. Crisi che ha portato gli armatori italiani ad avere debiti con le banche per una somma pari a circa 13 miliardi di dollari.
«È fondato – afferma il presidente di Confitarma, Manuel Grimaldi - il rischio che processi di ristrutturazione (di società di navigazione, ndr) trascurati nel tempo, senza una prospettiva di rapida conclusione, possano produrre fenomeniliquidatoriattraversovendita degli asset, oppure, indirettamente, attraverso la cessione, da parte delle banche, delle proprie posizioni creditorie, a valori significativamente inferiori ai nominali e a controparti che, con molta probabilità, coincidono con hedge fund; i quali, come noto, si caratte- rizzano per un approccio di tipo aggressivo».
IlrichiamodiGrimaldisicollega ai malumori , nei confronti dei fondi, manifestati dagli armatori italiani a Mareforum, meeting internazionale dello shipping, tenutosi a Roma nei giorni scorsi. In quel- l’occasione alcune compagnie hanno attribuito all’ingresso dei private equity e degli hedge nel capitale parte delle responsabilità per l’andamento poco felice, negli ultimi anni, dei noli. Trend che sembra terminato per la petroliere machepersisteperleportarinfuse.
Secondo molti armatori, i fondi, per loro natura, hanno traguardi di rendimento troppo di breve periodo per i ritmi del settore marittimo. Per supportare lo shipping, insomma, occorrerebbero investitori disposti a guardare a permanenze nei capitali armatoriali più di lunga durata. Come facevano le banche ora, però, indirizzate a cedere i crediti problematici o in ristrutturazione, per rispettare i dettami di Basliea 3.
I dati dell’ ufficio studi del gruppo Rina mostrano che, nel 2014, è cresciuta la tendenza dello shipping a servirsi di hadge fund e private equity, per il disimpegno dal settore di alcuni istituti di credito. Lloyds banking corporation e la Royal bank of Scotalnd, ad esempio, hanno ceduto prestiti non performanti all’hedge fund Kempner capital management (500 milioni di dollari solo da Lloyds) e a Oaktree e Ceterbridge partner. E, sempre a Oaktree, Commerzbank ha ceduto 14 petroliere. Mentre l’hedge fund Elliot management corporation ha investito 50 milioni nella ristrutturazione della compagnia giapponese Sanko.
Fabrizio Vettosi, alla guida di Vsl, investment company specializzata nello shipping, però, respinge le critiche degli armatori, sottolineando che «solo il 17% del valore dell’orderbook di navi esistente è riconducibile a investitori finanziari. Il restante 83% fa capo agli armatori. Questo significa che l’eccesso di stiva creatosi in questi anni con ordini di navi eccessivi , specie per i carichi secchi, è da attribuirsi, in larga parte, a scelte fatte dagli armatori stessi e non determinate dalla presenza di fondi nei capitali. Occorre poi fare una netta distinzione tra il private equity, che diventa un vero socio dell’armatore, e l’hedge fund, che invece ha un comportamento più speculativo» e rileva l’azienda in ristrutturazione prevalentemen- te per guadagnare sulla rivendita degli asset.
«Oggi – prosegue Vettosi – circa la metà delle società armatoriali italiane sono in ristrutturazione, ossia più di 20 aziende; e il debito complessivo dei nostri armatori versolebancheèdicirca13miliardi di dollari. Questa situazione dipende anche dal fatto che la flotta nazionale ha avuto una forte crescita tra il 2002 e il 2009, con navi pagate, nel momento del boom dei noli, a prezzi molto alti e con leve finanziarie spesso superiori all’80%. Navicheoggivalgonolametàeche si portano ancora dietro un alto debito. I private equity, introdotti nel settore, dal 2008 in poi, dai broker, ora sono delusi dal mondo dello shipping. E la disaffezione del mercato dei capitali non è un buon segno. A maggior ragione se si affacciano gli hedge, che non mettono capitale nuovo ma comprano il vecchio», per rivendere.
IL NODO Grimaldi (Confitarma): «I processi di ristrutturazione possono portare a liquidazioni di asset o cessioni di posizioni»