Iraq, quelle bugie dietro l’invasione
Jeb Bush ci ha fatto un favore: cercando di non parlare del passato, ha finito per far riemergere il dibattito sulla guerra in Iraq che tanti esponenti politici e mediatici avevano cercato accuratamente di evitare. E ovviamente continuano a evitarlo – vogliono assicurarsi che si tratti solo della corsa elettorale o di una domanda ipotetica «se avesse saputo…».
Ma quella formulazione è di per sé evasiva come hanno osservato Josh Marshall, Greg Sargent e Duncan Black, ognuno con argomentazioni leggermente diverse ma tutte altrettanto valide.
La prima: come ha scritto di recente Josh Marshall, editor di Talking Points Memo (bit.ly/1GcABti), l’invasione dell’Iraq non è stato un errore commesso in buona fede. Il presidente George W. Bush e il vicepresidente Dick Cheney non si sono messi a tavolino con i servizi segreti per avere una valutazione della situazione e poi concludere con riluttanza che la guerra era l’unica opzione possibile. Loro avevano già deciso – quando gli animi eranoancorascossidall'11settembre– diprendere a pretesto l’attacco terroristico di estremisti religiosi per invadere un regime secolare, che per quanto malvagio fosse, non aveva niente a che vedere con gli attentati.
Per convincere la gente che quella “piccola, splendida guerra” (cit. John Hay sulla guerra ispano-americana del 1868, ndt) s’aveva da fare, hanno mentito esplicitamente all’opinione pubblica, montando un caso pretestuoso sulle armi di distruzione di massa – perché le armi chimiche che molti pensavano che Saddam Hussein avesse, non sono niente rispetto alle armi nucleari sulle quali lui stava lavorando secondo loro – e insinuando che dietro l’11 settembre ci fosse Saddam.
La seconda: come scrive Greg Sargent sul Washington Post, nemmeno a posteriori si di- cono le cose come stanno (wpo.st/yGmH0). All’epoca era piuttosto evidente che le argomentazioni per giustificare la guerra erano infondate (Dio solo sa quanto era lampante ai miei occhi e quanto l'ho ripetuto) e piuttosto ovvie, come il tentativo di creare un Iraq filoamericano dopo l'invasione che sarebbe miseramente fallito con costi elevatissimi. Perciò la domanda da porre a chi aveva sostenuto laguerrainIraqnondovrebbeessere: «L’avresti sostenuta con il senno di poi?» ma piuttosto «Perché non hai visto come stavano le cose?»
Infine, e qui entra in ballo il blogger Mr. Black (disq.us/8ncphx), parte della risposta è chemoltideicosiddettiVerySeriousPeoplela appoggiavano. Anche loro volevano la loro “piccola, splendida guerra” o non vedevano l’oradilustrarelepropriecredenzialinon-hippy dicendo: «Ehi, guardate, sono anch'io un guerrafondaio!». O si sono guardati dal riconoscere che erano chiaramente delle bugie perché così si sarebbero schierati e i Very Serious People fanno un vanto del loro essere centristi. E adesso non hanno intenzione di mettersi a rivedere le proprie posizioni. Si può pensare al dibattito economico negli stessi termini? Sì, anche se non è così evidente. Pensate per quanto tempo Paul Ryan, presidente repubblicano dell’House Budget Committee, è stato preso come modello di conservatore serioeonesto. Seavestefattoicompiti, avreste capito che non era così e che la sua presunta preoccupazione per il deficit era un modo di dissimulare l’obiettivo: smantellare il welfare state. Persino la follia dell’inflazione può essere spiegata meglio in termini di agenda politica: la destra era infuriata con la Fed perché stava cercando di scongiurare la crisi che loro volevano usare per giustificare la loro crociata anti-previdenza. E così hanno fatto pressione sulla Fed per impedirle di fare il suo lavoro.
E i Very Serious People hanno permesso tutto questo, esattamente come hanno permesso le bugie sull’Iraq. E per tornare all’Iraq, la cosa fondamentale da capire è che l’invasione non è stata un errore, è stata un crimine. Ci hanno fatto entrare in guerra a suon di menzogne. E non dovremmo permettere che quella verità orrenda venga dimenticata.