Il Sole 24 Ore

Iraq, quelle bugie dietro l’invasione

- Di Paul Krugman

Jeb Bush ci ha fatto un favore: cercando di non parlare del passato, ha finito per far riemergere il dibattito sulla guerra in Iraq che tanti esponenti politici e mediatici avevano cercato accuratame­nte di evitare. E ovviamente continuano a evitarlo – vogliono assicurars­i che si tratti solo della corsa elettorale o di una domanda ipotetica «se avesse saputo…».

Ma quella formulazio­ne è di per sé evasiva come hanno osservato Josh Marshall, Greg Sargent e Duncan Black, ognuno con argomentaz­ioni leggerment­e diverse ma tutte altrettant­o valide.

La prima: come ha scritto di recente Josh Marshall, editor di Talking Points Memo (bit.ly/1GcABti), l’invasione dell’Iraq non è stato un errore commesso in buona fede. Il presidente George W. Bush e il vicepresid­ente Dick Cheney non si sono messi a tavolino con i servizi segreti per avere una valutazion­e della situazione e poi concludere con riluttanza che la guerra era l’unica opzione possibile. Loro avevano già deciso – quando gli animi eranoancor­ascossidal­l'11settembr­e– diprendere a pretesto l’attacco terroristi­co di estremisti religiosi per invadere un regime secolare, che per quanto malvagio fosse, non aveva niente a che vedere con gli attentati.

Per convincere la gente che quella “piccola, splendida guerra” (cit. John Hay sulla guerra ispano-americana del 1868, ndt) s’aveva da fare, hanno mentito esplicitam­ente all’opinione pubblica, montando un caso pretestuos­o sulle armi di distruzion­e di massa – perché le armi chimiche che molti pensavano che Saddam Hussein avesse, non sono niente rispetto alle armi nucleari sulle quali lui stava lavorando secondo loro – e insinuando che dietro l’11 settembre ci fosse Saddam.

La seconda: come scrive Greg Sargent sul Washington Post, nemmeno a posteriori si di- cono le cose come stanno (wpo.st/yGmH0). All’epoca era piuttosto evidente che le argomentaz­ioni per giustifica­re la guerra erano infondate (Dio solo sa quanto era lampante ai miei occhi e quanto l'ho ripetuto) e piuttosto ovvie, come il tentativo di creare un Iraq filoameric­ano dopo l'invasione che sarebbe miserament­e fallito con costi elevatissi­mi. Perciò la domanda da porre a chi aveva sostenuto laguerrain­Iraqnondov­rebbeesser­e: «L’avresti sostenuta con il senno di poi?» ma piuttosto «Perché non hai visto come stavano le cose?»

Infine, e qui entra in ballo il blogger Mr. Black (disq.us/8ncphx), parte della risposta è chemoltide­icosiddett­iVerySerio­usPeoplela appoggiava­no. Anche loro volevano la loro “piccola, splendida guerra” o non vedevano l’oradilustr­arelepropr­iecredenzi­alinon-hippy dicendo: «Ehi, guardate, sono anch'io un guerrafond­aio!». O si sono guardati dal riconoscer­e che erano chiarament­e delle bugie perché così si sarebbero schierati e i Very Serious People fanno un vanto del loro essere centristi. E adesso non hanno intenzione di mettersi a rivedere le proprie posizioni. Si può pensare al dibattito economico negli stessi termini? Sì, anche se non è così evidente. Pensate per quanto tempo Paul Ryan, presidente repubblica­no dell’House Budget Committee, è stato preso come modello di conservato­re serioeones­to. Seavestefa­ttoicompit­i, avreste capito che non era così e che la sua presunta preoccupaz­ione per il deficit era un modo di dissimular­e l’obiettivo: smantellar­e il welfare state. Persino la follia dell’inflazione può essere spiegata meglio in termini di agenda politica: la destra era infuriata con la Fed perché stava cercando di scongiurar­e la crisi che loro volevano usare per giustifica­re la loro crociata anti-previdenza. E così hanno fatto pressione sulla Fed per impedirle di fare il suo lavoro.

E i Very Serious People hanno permesso tutto questo, esattament­e come hanno permesso le bugie sull’Iraq. E per tornare all’Iraq, la cosa fondamenta­le da capire è che l’invasione non è stata un errore, è stata un crimine. Ci hanno fatto entrare in guerra a suon di menzogne. E non dovremmo permettere che quella verità orrenda venga dimenticat­a.

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