Lezioni italiane di vigilanza bancaria
Le Considerazioni Finali della Banca d’Italia sono una ottima occasione per un messaggio a Francoforte: la nuova vigilanza europea può imparare molto dall’esperienza italiana. Almeno due le lezioni: la vigilanza non deve scimmiottare la politica monetaria; i vigilanti non devono essere discrezionali, ma applicare regole uguali per tutti.
Il Governatore della Banca d’Italia Visco ha aperto e chiuso le annuali Considerazioni Finali mettendo sul proscenio il ruolo che la banca centrale nazionale può e deve giocare nel disegno delle politiche comuni europee. In apertura, il riferimento è stato esplicito. Rimarcando il fatto che oramai il 40% dell’attività della Banca d’Italia è legato alle funzioni di politica monetaria e di vigilanza dell’Unione, il Governatore ha ricordato il disegno a geometria variabile che lega le varie banche centrali nazionali nel sistema europeo, con apice a Francoforte, nella Banca centrale europea (Bce).
È una geometria variabile il cui successo dipenderà in modo cruciale dalla capacità di tutti gli attori di individuare le politiche a somma positiva, in cui cioè – magari in orizzonti temporali diversi – l’interesse comune europeo si sposi con quello nazionale.
L’individuazione delle migliori politiche comuni è particolarmente vitale e al contempo delicata nel perimetro della vigilanza bancaria e finanziaria. Il Governatore ha sottolineato come la vigilanza europea sia un “sistema di autorità”, costituito nel contempo dall’organo sovranazionale che è la Bce e dagli organismi nazionali di controllo, in cui decisioni e prassi vanno prese in modo condiviso. Questo significa che l’assetto di governo della vigilanza europeo è complesso per almeno tre ragioni: da un lato gli attori sono eterogenei e numerosi; dall’altro la politica di vigilanza ha delle specificità che non vanno dimenticate, legate al suo modus operandi. Un assetto di governo complesso può prendere buone decisioni solo se ha la lungimiranza di seguire le migliori pratiche.
Per la vigilanza, la Banca d’Italia può e deve essere un esempio almeno da due fondamentali punti di vista. In primo luogo, la politica di vigilanza non è la politica monetaria. La politica monetaria è gestione di prezzi monetari, cioè di tassi di interesse, su orizzonti più o meno lunghi e/o diversificati. In altri termini l’azione monetaria di una banca centrale è per sua natura una politica ciclica. In Europa la BCE e congiuntamente la Banca d’Italia hanno finora svolto in modo efficace l’azione macroeconomica, assolvendo il mandato della stabilità monetaria.
Ma la vigilanza bancaria non è gestio- ne di prezzi, ma monitoraggio sulle regole di condotta, volte ad aumentare la stabilità finanziaria. Ed il primo requisito per avere regole efficaci e che esse siano a loro volta certe e stabili. La ricerca di certezza e stabilità è stata una tradizionale bussola dell’azione di vigilanza della Banca d’Italia. Altrimenti la vigilanza crea rischi di incertezza e ciclicità. Questa è la prima lezione che Roma può offrire alla vigilanza europea, che da questo punto di vista è già partita con almeno due passi falsi. Prima, la infelice politica dei coefficienti di capitale definita dall’autorità bancaria europea (EBA) a cavallo tra il 2011 ed il 2012. Poi l’altrettanto infelice avvio della vigilanza europea del novembre 2014, con una moltiplicazione di presunte pagelle bancarie grazie a presunti stress test, nonché di conferenze stampa a Londra, Francoforte e Roma, parallele nei tempi, ma discordanti nei contenuti. Un triste balletto, che ci si augura venga risparmiato nel 2015.
Inoltre la vigilanza bancaria deve avere regole uguali per tutti. Il Governatore ha illustrato come procederà l’azione di vigilanza sul campo, con “gruppi congiunti” formati da supervisori di diversa nazionalità. La definizione del modus operandi della vigilanza sarà un importante banco di prova per il neonato sistema europeo. Anche in questo caso il procedere di una vigilanza condivisa è ricca di opportunità, ma anche di incognite. La ricchezza dei “gruppi misti” può essere la loro diversità, ma anche la loro endemica debolezza. In più, esiste sempre il rischio di cattura del gruppo, se per qualche ragione, economica o politica, il gruppo non è governato dalla prevalenza delle migliori pratiche. Le migliori pratiche sono quelle che caratterizzano la vigilanza con le migliori performance. Nessuno può negare che la stabilità del sistema bancario italiano è stata tra le migliori, qualunque sia l’indicatore considerato, a partire dal costo per i contribuenti dell’instabilità.
Quindi sarà opportuno, per l’Europa innanzitutto, che il ruolo della vigilanza italiana sia attivo e rilevante. Anche in questo senso si possono leggere le parole finali delle Considerazioni: “Le autorità nazionali, politiche e tecniche, sono essenziali nel processo di decisione europeo. (…). Nel dibattito tra paesi, talvolta difficile e teso, si fa meglio ascoltare chi dimostra di far bene a casa propria”.