Rajoy e la sindrome di Schröder
Il coraggio dell’impopolarità è merce rara in Europa. E come Schröder, il premier spagnolo Mariano Rajoy potrebbe pagarne le conseguenze alle elezioni politiche di fine anno e qualcun altro al posto suo incassare il dividendo delle riforme.
Sono giorni difficili per il premier spagnolo, e anche se il parallelo con l’ex cancelliere tedesco corre fino a un certo punto, quanto accadde a Schröder nel 2005 certo gli è di poco conforto, anzi. L’autore della più importante riforma del welfare tedesco dal dopoguerra perse le elezioni del 2005 proprio a causa di quella riforma, conosciuta con il nome di Agenda 2010. Liberalizzazione del mercato del lavoro, ristrutturazione degli uffici pubblici di collocamento, tagli ai sussidi di disoccupazione furono le fondamenta di quello slancio riformista. E sono tutti concordi nel ritenere che la forza odierna dell’economia tedesca debba molto a quel programma, che l’abilità della signora Merkel sia stata soprattutto quella di non aver rovinato il lavoro del predecessore, raccogliendone anzi i frutti a piene mani. Il governo di Rajoy ha condotto un simile “esperimento”, ma con una differenza fondamentale: lo ha fatto durante la peggior congiuntura conosciuta dall’Europa negli ultimi cinquant’anni. Non a caso il più lodato dalla Germania tra i Paesi periferici, la Spagna ha introdotto misure strutturali di riforma del mercato del lavoro dando grande spazio al decentramento negoziale e riducendo il cuneo fiscale in cambio di una stabilizzazione del precariato. È stato abbastanza pragmatico da accettare il bailout europeo del proprio sistema bancario, ma il prezzo pagato dagli spagnoli per tanto zelo riformista è stato elevatissimo, con una disoccupazione al 25%. Madrid crescerà quest’anno più di ogni grande economia dell’Eurozona, più o meno del 3%, ma questa crescita si traduce in un aumento dei posti di lavoro ancoro troppo debole. La vittoria di Podemos e il buon risultato di Ciudadanos mettono un’ipoteca sull’esito delle elezioni politiche di fine anno. Con una differenza fondamentale rispetto alla Grecia. Podemos non è Syriza. Nel caso (non facile perché il voto di novembre-dicembre rischia di non produrre un vincitore chiaro dopo che domenica scorsa è stata sancita la fine del bipolarismo) di una prospettiva di governo con i socialisti, i ragazzi di Pablo Iglesias saranno più fortunati: qualcun altro al posto loro avrà fatto il lavoro più sporco e difficile, quello per il quale nessuna gratitudine è dovuta ai predecessori.