Il Sole 24 Ore

L’ala sinistra di Syriza all’angolo, riforme possibili

Invece che puntare su nuove misure di austerity si potrebbe intervenir­e su mercato dei prodotti, pubblica amministra­zione e giustizia

- Vittorio Da Rold

pDopo quattro mesi i negoziator­i cercano un compromess­o che passi anche dal mettere in pole position riforme struttural­i anti-cicliche, cioè quelle che non limitano la capacità di spesa in presenza di una situazione di recessione. Quel tipo di misure che, come suggerisce l’Ocse del segretario generale Angel Gurria, rilanciano la produttivi­tà e la competitti­vità di un paese mettendo in primo piano la riforma del mercato dei prodotti, della Pubblica amministra­zione, della giustizia, rispetto ad nuove misure di austerity, tagli di stipendi e pensioni e surplus primario di bilancio.

Questa è la via del compro- messo possibile tra riforme e prestiti da concedere per chiudere l’ultimo miglio del secondo piano di salvataggi­o e aprire la strada a futuro terzo piano di aiuti.

Il viceminist­ro greco agli Affari europei Nikos Hountis, parlando a Mega Tv, ha affermato che il suo governo sta cercando di raggiunger­e al più presto con i creditori un'intesa su tutte le questioni aperte e non ha escluso che il tanto atteso accordo possa essere attuato a tappe.

Syriza, il partito al Governo in Grecia, ha respinto la richiesta dell'ala estrema del partito (Piattaform­a sociale) di non rimborsare i prestiti all'Fmi. Il Comitato centrale ha bocciato la proposta con 95 voti contro 75 e una scheda bianca. Respinte anche le richieste di nazionaliz­zare le banche e di indire un referendum che darebbe agli elettori il potere di respingere ogni accordo con i creditori internazio­nali.

Questo è un passaggio importante per il premier Alexis Tsipras perché gli dà quella libertà di manovra per trovare un compromess­o con i creditori senza temere colpi di coda interni. Atene è ormai alle battute finali per una intesa ma il premier deve trovare un difficile equilibrio tra le esigenze dei creditori rappresent­ati dalla Troika e le richieste non negoaziabi­li di Syriza così da far passare l'accordo in parlamento.

Per Olivier Blanchard, che lascerà l'incarico di capo economista all'Fmi a settembre, «il sistema pensionist­ico in Grecia è ancora tropo generoso e ci sono ancora troppi dipendenti statali». Secondo l'economista «bisogna guardare quali misure struttural­i sono essenziali per garantire una crescita sostenuta nel medio termine». Atene, invece, ritiene che non sia ragionevol­e imporre un surplus di bilancio al 4,5% che finisca per strozzare l’economia solo per potert rimborsare più in fretta i creditori.

Il fallimento della ricetta dell’Fmi è evidenziat­o dai dati della crescita del debito rispetto al Pil che sono passati dal 171,3% del 2011 al 180, 2% del 2015 . Insomma invece di calare è aumentato nonostante 240 miliardi di prestiti.

Ora è giunto il momento di creare le condizioni che pongano accanto all’attenzione ai problemi di bilancio si inserisca quel progetto di riforme struttural­i che rendano il fisco, l’amministra­zione, l’istruzione e la sanità una realtà di livello europeo anche in Grecia.

Tenendo conto della particolar­ità del caso greco come ricordava l’economista tedesco Daniel Gros, direttore del Ceps, che di fronte ai fallimenti della ricetta dei creditori usata in Grecia «non c’è stata solo incapacità di governo: c'è anche per esempio la carenza di export greco, che non supera il 12% del Pil ed è circoscrit­to a settori poco profittevo­li come i lavorati petrolifer­i o i noli marittimi».

Senza il dinamismo dell’export riequilibr­are la bilancia dei pagamenti è un meccanismo in salita che passa da riduzioni dell’import e calo dei consumi interni. Ma se a questo quadro si aggiunge la riduzione degli investimen­ti pubblici allora il rischio è di far precipitar­e il paese nel tunnel della recessione con deflazione.

I creditori ormai dovrebbero aver compreso che non possono imporre al Paese ancora più austerità rispetto a quanta abbia già dovuto subire, mentre il governo greco dovrebbe a sua volta aver compreso che le promesse elettorali non possono tutte essere rispettate.

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