Il Sole 24 Ore

In tribunale con un coltello per uccidere il pm

Scanner fuori uso, una donna entra nel Palazzo di giustizia con l’arma nella borsa: bloccata prima che aggredisse il magistrato

- Stefano Elli

p Questa volta la falla della sicurezza si è aperta al Tribunale di Lodi dove una donna, Rosa Maria Capasso, 38 anni, poco dopo le sette del mattino di ieri, si è introdotta eludendo la sorveglian­za e lo scanner fuori servizio dal dicembre scorso. Ha atteso poi le nove, orario d’apertura della segreteria della procura della Repubblica, e ha aggredito una cancellier­a dell’ufficio. Sembra che fosse sua intenzione affrontare e forse uccidere la pm Alessia Mene- gazzo. E per far ciò nella borsetta, sfuggita ai raggi x dello scanner fuori uso, aveva nascosto un coltello con una lama lunga trenta centimetri.

Di nuovo alla ribalta, dunque, il problema della sicurezza dei tribunali italiani. Dopo il caso di Claudio Giardiello che il 9 aprile scorso entrò al Tribunale di Milano armato di una Beretta 9x21, uccidendo il giudice Fernando Ciampi, l’avvocato Lorenzo Alberto Claris e il socio in affari Giorgio Erba e ferendo altre due persone. In un primo momento sembrava che Giardiello fosse entrato dal varco di via Manara, destinato agli operatori di palazzo di giustizia e non presidiato da metal detector. Dal 16 maggio scorso però si è fatta strada una nuova ipotesi al vaglio degli inquirenti della procura di Brescia: che Giardiello sia, invece, entrato da un accesso presidiato dal varco e che questo avrebbe addirittur­a segnalato la presenza dell’arma. A questo si aggiunge il problema delle telecamere, obsolete e praticamen­te inservibil­i sia al Tribunale di Milano, sia a quello di Lodi, come ha sottolinea­to ieri il procu- ratore capo della città lombarda Vincenzo Russo, che ha segnalato anche come l’ubicazione della stessa procura (al piano terra) sotto il profilo della sicurezza sia una scelta dissennata.

Difficile in ogni caso risalire alla catena delle responsabi­lità. A Lodi, per esempio, la manutenzio­ne delle apparecchi­ature di sicurezza dovrebbe competere al Comune, che però vanta crediti nei confronti della Procura. A Milano a vegliare sul primo perimetro di sicurezza di magistrati, impiegati e uomini della polizia giudiziari­a che in- dagano (tra l’altro) su crimine organizzat­o e terrorismo, da tempo non ci sono più i Carabinier­i, ma due società: la Allsystems e la Securpolic­e che, nelle ore immediatam­ente successive alla strage di Milano, si sono rimpallate le responsabi­lità dell’accaduto.

Chi scrive frequenta abitualmen­te palazzo di Giustizia e non può mancare di annotare una situazione paradossal­e: il personale di sicurezza ha l’ordine tassativo (e lo esegue) di bloccare il visitatore che rechi con sé apparecchi di registra- zione digitali o analogici. Nessuna difficoltà è invece frapposta all’introduzio­ne di altri marchingeg­ni elettronic­i (telefoni cellulari e tablets di ogni genere e marca) perfettame­nte in grado di riprendere immagini e di registrare conversazi­oni.

D’altro canto Giardiello sembrerebb­e essere riuscito a entrare (e soprattutt­o a uscire) da quegli stessi varchi con una pistola semiautoma­tica. Al carcere di Bollate il 19 maggio scorso il Guardasigi­lli Andrea Orlando aveva annunciato l’intenzione di «lavorare per avere standard di sicurezza più omogenei nel nostro Paese dove le realtà sono troppo differenzi­ate». È auspicabil­e che ci si riesca.

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