Il «peccato originale» di una spesa pensionistica eccessiva
Caro Galimberti, giudico scorretto il meccanismo della perequazione delle pensioni Inps. Esso copre il 100% dell’inflazione per le pensioni basse ed una frazione decrescente man mano che si passa a pensioni di fasce superiori. Tutti i governi hanno agito cambiando variamente la tabella “Importo della pensionepercentuale di copertura dall’ inflazione”. Si ammette implicitamente che le pensioni “alte” possano-debbano con il tempo perdere una parte del potere d’acquisto. Ammettiamolo pure; ma chi ha deciso quanta parte e con che tempi si vuole che venga perduto? Nessuno! Dipende dall’inflazione che ci sarà, ossia da un dato quanto meno aleatorio. Ad esempio una pensione soggetta ad una perequazione del 50% perde in vent’anni il 18% del potere di acquisto se l’inflazione è il 2%, perde invece il 38% se l’inflazione è al 5%. Alla faccia della programmazione economica. Con queste premesse, chi toglierà la voglia, chi resisterà alla tentazione di progettare/permettere qualche anno di inflazione galoppante per ridurre in modo “indolore” la spesa pensionistica reale? E d’altro verso, se l’inflazione si manterrà molto bassa a lungo, non avremo realizzato nessun risparmio dall’erosione delle pensioni alte. Non sarebbe più giudizioso stabilire in che percentuale è giusto ridurre annualmente le pensioni di una certa fascia in termini reali (ad es. 0,5% oppure 1%) e di conseguenza introdurre una perequazione calcolata per differenza, per esempio come “inflazione - 0,5%” oppure “inflazione-1%”?
Gino Sorci Caro Sorci,
lei ha certamente ragione. Le conseguenze dell’indicizzazione parziale per le pensioni oltre una certa fascia sono capricciose e la perdita di potere d'acquisto nel tempo dipende dal tasso di inflazione. La riforma che lei propone è giudiziosa. C’è di più: a quanto ne so, l’Italia è il solo Paese che non indicizza pienamente le pensioni. In altri Paesi, come gli Stati Uniti, sono state proposte altre vie per risparmiare, come indicizzare a una misura dell’inflazione equivalente al nostro ‘costo della vita per operai e impiegati’ e non al normale indice dei prezzi al consumo (naturalmente, si sono prima accertati che il primo aumenti meno rapidamente del secondo); ma anche in America non hanno osato introdurre il principio che il pensionato medio è condannato a perdere potere d’acquisto.
In Italia, come ho detto altre volte, scontiamo il ‘peccato originale’ di una spesa pensionistica eccessiva nel confronto internazionale (dovuta a sua volta al fatto che le pensioni in passato sono state elargite con criteri troppo generosi). La ratio dei provvedimenti volti a moderare la spesa come quello della deindicizzazione sta proprio nella volontà di rimediare a quel ‘peccato originale’. Ma la deindicizzazione non colpisce necessariamente coloro che hanno usufruito di quella generosità, è uno strumento troppo rozzo.
Credo però che i suoi timori sulla «tentazione di progettare/permettere qualche anno di inflazione galoppante per ridurre in modo “indolore” la spesa pensionistica reale» non siano fondati. Se ci siamo astenuti dall’innalzare l’inflazione per ben più forti scopi, come quello di ridurre l’immenso debito pubblico, non credo che lo faremo per le pensioni. E d’altronde la cosa non è nelle nostre mani: dipende dalla Bce e dal sistema di ‘governance’ europea, che ha nel suo Dna una forte avversione all’inflazione. Vorrei aggiungere qualcosa sulla indicizzazione. L’Inps ha stabilito che, se l’inflazione è negativa, l’importo nominale delle pensioni non diminuisce. La decisione in tal senso è comprensibile dal punto di vista politico, ma ha poco senso dal punto di vista economico.
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