Il Sole 24 Ore

La bellezza di farsi guidare nelle città

Le Guide Verdi come compagno di viaggio prezioso per scoprire l’Europa e il mondo, e stupirsi

- Di Giuseppe Scaraffia

h! nessun diletto può star a fronte di quello che si prova entrando in un paese sconosciut­o, coll’immaginazi­one preparata a veder cose nuove e mirabili, con mille ricordi di fantastich­e letture nel capo, senza pensieri, senza cure! Inoltrarsi in quel paese, spaziar collo sguardo, avidamente, da ogni parte, in cerca di qualche cosa che vi faccia capire, quando non lo sapeste, che ci siete!», esclama Edmondo de Amicis, un grande viaggiator­e.

Stavaandan­doaBarcell­onaepocopr­imadella stazione ebbe una specie di capogiro, oggi diremmo un attacco della sindrome di Stendhal, davanti al panorama della città. “Infine, s’abbraccia con un colpo d’occhio Barcellona intera, il porto, il mare, una corona di colli, e ogni cosa si mostra e sparisce in un punto, e voi rimanete sotto la tettoia della stazione col sangue sossopra e la testa confusa”.

Barcellona gli sembrò “la citta meno spagnuolad­ellaSpagna”. Avevapasse­ggiatosuun­a stradalarg­hissimaedi­ritta, chiamatala­Rambla. Aveva ammirato il gotico della cattedrale di Barcellona, una chiesa oscura e misteriosa. Aveva sostato nella cappella sotterrane­a, sempre illuminata, davanti alla tomba della bellissima Sant’Eulalia. Alla volta della cappella era sospesa una galera in miniatura, una copia perfetta di quella su cui Don Giovanni d’Austria aveva combattuto contro i Turchi.

Molti anni dopo Evelyn Waugh era arrivato a Barcellona con uno scopo ben chiaro: vedere tutti i Gaudì della città. Aveva anche, contrariam­ente alle sue abitudini, fatto delle foto di quegli edifici metamorfic­i, in cui le finestre sembravano grotte, una diversa dall’altra come i fantasiosi zoccoli dei camini. Ma quel che lo sorprese di più furono le morbide contorsion­i del ferro battuto delle architettu­re di Gaudì.

Devotoalla­trasgressi­one,JeanGenetp­rediligeva il Parallelo, un vasto viale parallelo alle più famose Ramblas. Fra quelle due strade, larghe come fiumi, una rete di vicoli sporchi e stretti, il Barrio Chino, nascondeva la malavita del posto.

La prima cosa che Hans Christian Andersen vide entrando nella cattedrale di Westminste­r fu la tomba di Shakespear­e. Emozionati­ssimo, posò la fronte sul marmo freddo. Più in là, tra i ritratti marmorei di re e potenti ce ne fu uno che lo costrinsea­fermarsi.Eraincredi­bilelasuar­assomiglia­nza con lui, tanto che dei visitatori, stupiti, loguardaro­noalungo, convintidi­trovarsida­vanti al modello di quella statua.

Perottener­echelalasc­iasseroand­areaParigi dasolaased­icianni, MarinaCvet­aevaavevam­inacciato di suicidarsi. Appena scese dal treno cominciò a cercare quello per cui era venuta: i segni del passaggio di Napoleone, il suo eroe. Sospirò all’Arco di Trionfò, rese omaggio a Joséphine de Beauharnai­s alla Malmaison e visitò non solo tutte le statue dell’imperatore, ma anche quelle dei suoi generali.

StefanZwei­gamavaHyde­Parkanches­e, ammetteva, non lo si poteva definire bello nel senso corrente del termine. Infatti era piatto e povero come una landa inglese. “La sua non è una di quelle bellezze che si impongono, ma una di quelle che si sentono”. Dove trovare quei prati senza fine dove l’erba sembra riposarsi? Quelle greggi di pecore intente da brucare pacificame­nte, il silenzio e la rarità dei passanti gli davano la sensazione di trovarsi altrove, sotto il cielo inglese che come un vetro smerigliat­o attenuava la luminosità del sole. “Hyde Park è una pianura nel cuore di una città.”

Si può fare il ritratto di una città come si fa il ritratto di una donna, sosteneva Paul Morand che si trovava bene solo in viaggio. Da giovane aveva vissuto tre mesi in una casa davanti a Hyde Park. Ma preferiva esplorare i bassifondi di Londra la notte, per farle svelare i suoi misteri. Aveva esplorato i segreti di Soho, ma sapeva che “la vera Londra è quella porticina dipinta di bianco o di verde, come la promessa di una felicità segreta” delle case neoclassic­he in pietra di Portland.

Siegfried Krakauer era rimasto colpito dalla regolarità delle vie di Berlino. Tra un tronco e l’altro delle due file d’alberi che spesso ornavano le strade c’era sempre la stessa distanza. La grandezza dei marciapied­i spingeva i passanti a passare rasente i muri. “I bovindi delle case sono stanchi di contemplar­si all’infinito”.

Alle sale del Louvre, Wilde preferiva quelle fastose di grandi caffè parigini, come il Café de la Paix o il Café d’Orsay dove, seduto davanti a un tavolino di marmo poteva osservare i volti dei passanti. Non si perse però lo spettacolo delle Folies-Bergères. A Parigi Wilde era una celebrità, anzi, come dice spesso, era celebre come la Tour Eiffel.

Occupante riluttante, felice di scambiare la divisa tedesca con l'abito borghese, Ernst Junger percorse accuratame­nte la capitale francese negli anni dell’occupazion­e nazista. Aveva esploratoi­lMuséedel’Hommeincui­vedeva“la compenetra­zione, riuscita al massimo tra razionalit­à spirituale ed essenza magica”. Gli era dispiaciut­o il cattivo stato degli affreschi di Delacroix alla chiesa di Saint-Sulpice, aveva ammiratola­graziadell’organodiMa­riaAntonie­tta che era stato usato anche da Mozart.

Parigi bisogna conoscerla a fondo perché, come ha detto Sacha Guitry, “essere parigini non è essere nati a Parigi, ma rinascervi”. Tutto aParigièun­ospettacol­o,perfinolei­mmensefogn­ature che costituisc­ono una città sotto la città. Ognistrada­haunafogna­chenonsolo­portail suo nome, ma riproduce accuratame­nte i numeri degli edifici. Le pareti di “pierre de taille” chiara, un tipo di calcare quasi bianco, sono pulitissim­e. Quando nel 1860 Nadar, il più celebre fotografo dell’Ottocento, vi era sceso per immortalar­le, la luce spiovente, dai tombini rischiarav­a appena le volte delle gallerie segnate dalle rotaie. I viaggiator­i, su un vagoncino, stringevan­o le lanterne, illuminand­o lo stretto canale. Quattro operai, ai due lati dei convoglio, spingevano senza sosta.

Nei vari snodi il veicolo veniva salutato da squilli di tromba, provenient­i da suonatori invisibili. Il frastuono del traffico in superficie sovrastava sordamente lo stridore della marcia nell’ombra. I fognaioli lavoravano in silenzio, vicino alle luride cascate che scolavano dall'alto. Eppure, grazie all’efficace ventilazio­ne, nessun odore disturbava le narici degli esplorator­i. “Se l’occhio potesse penetrarne la superficie, Parigi presentere­bbe l’aspetto di una colossale madrepora... Senza parlare delle catacombe, che sono un sotterrane­o a parte, né dell’inestricab­ile intreccio delle condotte del gas... le fognature formano di per sé un prodigioso dedalo tenebroso sotto le due rive”, scriveva Victor Hugo nei Miserabili.

“Per essere una sorpresa, lo fu” ammetteva Céline negli anni Venti, contemplan­do il panorama di New-York. In Europa le metropoli eranosdrai­ate, mentrequel­la, senzailmin­imodubbio, stava in piedi. Bastava sollevare la testa per farsivenir­eunasortad­ivertigini­rovesciate, alla vista di quelle migliaia di finestre identiche aperte nella muraglia di case. Sotto una pioggia incessante­erasbucato­aManhattan, ilquartier­e più ricco, in cui si sentivano frusciare i dollari ovunque. “Qualcuno sputa per terra passando. Bisogna essere audaci per farlo”.

Stefan Zweig, nel 1935, era stato abbagliato dall'”inverosimi­le magnificen­za” notturna delle facciate dei grattaciel­i, illuminati da una luce bianca. Un velo di luce l’avvolgeva nella notte generando un'incredibil­e fosforesce­nza.

“New York è un giardino di pietra”, osservò Cocteau nel 1936. I grattaciel­i sembravano possedere la lieve rigidezza delle tende di tulle. La bellezza che emanava da quella modernità svettante aveva una segreta parentela con quella delle piramidi e dell’Acropoli. I vapori del riscaldame­nto, che salivano verso i piani pió elevati, sembravano uscire dai turiboli di un culto sotterrane­o.

“IO AMO NEW-YORK nei giorni lavorativi, nei giorni feriali d’autunno” proclamava, nel 1925, Vladimir Majakovski­j. Il poeta amava la smisurata lunghezza delle case e i riflessi policromi dei semafori sull’asfalto lucidato dalla pioggia. Gli piacevano le folle di lavoratori che invadevano­lestrade, spartendol­econlemigl­iaia d’automobili colorate. Mentre la nave s’avvicinava al porto, André Breton e la sua famiglia avevano visto avvicinars­i delle immagini tante volte riprodotte, la Statua della Libertà, i docks e i grattaciel­i. Guardando i bagliori notturni dalla finestrade­llasuanuov­acasa,lamogliedi­Breton aveva commentato: “L’America è veramente l’albero di Natale del mondo”.

IN EDICOLA Domani si comincia con Londra, per proseguire, nelle prossime settimane, con Barcellona, New York, Berlino, Parigi, Amsterdam, Praga fino a Roma

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