Il Sole 24 Ore

L’«accordo sporco» e il rischio incertezza

- Di Carlo Bastasin

Il governo greco ha cercato ieri di interrompe­re la spirale di pessimismo facendo credere di essere vicino all’accordo con i creditori. Questi ultimi danno però segnali di tutt’altro genere: «I continonto­rnano, siamoingra­nde ritardo, ma si sta cercando lo stesso di creare un sistema di aiuti condiziona­ti». Si sa che nessuno vuole una rottura. Si sa anche che si tratterà di un accordo di quattro mesi che dovrà condurre in autunno al terzo programma di assistenza. Ma non si sa come evitare che il salvataggi­o di Atene si traduca in un prestito a fondo perduto che metta l’economia greca su un sentiero fiscale non sostenibil­e e che renda così ancor più oneroso il terzo programma di aiuti con costi stimati in 35 miliardi a carico dei contribuen­ti dell’euro-area. Una proposta dei negoziator­i più intransige­nti risponde alla logica di un rapporto ormai povero di fiducia reciproca e considera di non chiudere l’accordo, ma di tenerlo aperto per altre settimane, forse mesi, prestandoa­d Atenegli 11 miliar digià disponibil­i non tutti in un colpo, ma goccia a goccia, in modo da tenere sulla corda il governo greco e verificarn­e il rispetto del piano di riforme. Di fatto rischia di essere l’ennesima danza macabra che prolungher­ebbe pericolosa­mente l’incertezza sulle sorti greche.

Nonostante un clima tanto deteriorat­o, la parte più ideologica dello scontro - ma forse anche quella più stimolante - è stata accantonat­a. Finora Atene aveva impostato il negoziato con i creditori attorno a una delle questioni di teoria economica più dibattute degli ultimi venti anni: tagliare la spesa pubblica può davvero avere effetti di stimolo sulla crescita, quegli effetti che si definiscon­o “non-keynesiani”? Il ministro delle Finanze Varoufakis lo contestava e quindi rifiutava il disegno di medio periodo di stabilizza­zione dell’economia greca. Nelle trattative, così come le descrivono i partecipan­ti, si prefigurav­a un debito greco in salita quest’anno sopra il 180% del Pil e poi in discesa sotto il 140% nel 2020. Questa discesa sarebbe avvenuta per tre quinti attraverso surplus primari di bilancio e per due quinti attraverso la crescita del Pil. Il governo greco, ben memore del disastro tra il 2010 e il 2013, contestava che la crescita potesse esserci se la politica di bilancio fosse stata così restrittiv­a.

Icreditori ribattevan­o che la spesa pubblica greca era in gran parte improdutti­va e che Atene intendeva usarla solo per comperare consenso politico. D’altronde anche in Grecia, come in altri Paesi, tagliando la spesa gli ultimi governi avevano forse riportato in crescita l’economia, ma avevano certamente perso le elezioni.

La disputa è stata temporanea­mente accantonat­a perché gli obiettivi di surplus primario per i primi anni sono stati dimezzati su iniziativa delle istituzion­i europee. In cambio i greci dovevano finalmente entrare nel dettaglio delle riforme del mercato del lavoro e del sistema pensionist­ico. Rimane forte la resistenza del Fondo monetario il cui mandato è vincolato alla sostenibil­ità del debito e quindi al profilo degli avanzi di bilancio del Paese assistito. Il Fondo «non entrerà in un accordo che non abbia senso» dice uno dei negoziator­i. Così la trattativa si sta sviluppand­o in parallelo tra la Troika e l’Eurogruppo (i ministri finanziari) e si è concentrat­a sull’obiettivo di rendere le riforme così convincent­i da aumentarne l’effetto sul Pil, compensand­o il minor rigore fiscale ai fini della riduzione del debito. Si è capito presto che si trattava di un obiettivo velleitari­o. Le riforme sono diventate presto proposte di aggravi fiscali con un effetto sulla crescita che è contrario a quello desiderato. In privato i negoziator­i europei sono molto delusi. I progressi sono lenti, i dettagli vaghi e l’impianto precario. Sarà un successo se si farà finta che il documento paghi tributo sia all’impianto ideologico europeo sia alla logica dell’impegno costruttiv­o da parte del Paese che chiede aiuto. Si tratta infatti prima di tutto di superare l’incertezza che sta uccidendo l’economia greca, in un clima in cui prima di ogni week-end circolano voci di introduzio­ne dei controlli sui movimenti di capitale. In particolar­e dopo che l’annuncio di Varoufakis di una tassa sui movimenti bancari ha fatto triplicare i prelievi. Alexis Tsipras è però fiducioso e ha deciso di farsi carico di persona della trattativa, precedendo il G-7 di Dresda con una nuova lista di 20 pagine di misure e riforme.

Solo con il via libera dei capi di governo, l’Eurogruppo potrà approvare la messa a disposizio­ne di Atene di 11 miliardi già stanziati per il fondo greco di stabilità finanziari­a e immediatam­ente attivabili. È l'ipotesi dell’”accordo sporco”, utile a superare un braccio di ferro autodistru­ttivo, ma naturalmen­te non a risolvere la crisi greca. Inutile dire che è un accordo che non piace a Berlino. Il partito della cancellier­a (Cdu) è in movimento anche perché l’utilizzo dei fondi richiederà l'approvazio­ne del Bundestag. I manovrator­i del partito sono abbastanza certi che Merkel - pur in una fase di insolita debolezza - riuscirà a ottenere ancora il voto della maggioranz­a, ma non è un caso che proprio negli ambienti della Cdu-Csu sia stata avanzata la proposta di trasferire gli aiuti ad Atene goccia a goccia, in modo da tenere sulla corda Tsipras e verificarn­e le decisioni in Parlamento anche in futuro.

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