I presidi: all’estero i dirigenti scolastici hanno più autonomia
Al via audizioni al Senato - Sindacati in trincea
pDopo le modifiche apportate dalla Camera al Ddl «Buona Scuola» i poteri dei dirigenti scolastici si riducono essenzialmente a due: mantengono la titolarità della “chiamata” dei docenti dell’autonomia assunti in ruolo (seppur con dei paletti) e decidono l’assegnazione dei premi ai professori meritevoli (in base però a criteri individuati da un comitato di valutazione composto da docenti e rappresentanti di genitori e, alle superiori, studenti).
Per i leader sindacali, auditi ieri in commissione Istruzione del Senato, presieduta da Andrea Marcucci (Pd), questi correttivi non sono ancora sufficienti. Susanna Camusso (Cgil) parla addirittura di «lesione alla libertà di insegnamento» e di «pesante invasione delle prerogative contrattuali e delle Rsu di istituto». Anche per Carmelo Barbagallo (Uil) la questione presidi, «così come posta, può generare abusi». Di qui il pressing sull’esecutivo per fare ulteriori modifiche perché, sintetizza Annamaria Furlan (Cisl), «non abbiamo bisogno di presidi sceriffi».
Per ora il governo ascolta (il termine per gli emendamenti parlamentari scade il 1° giugno). «Ma non ci sono norme incostituzionali», sottolinea la relatrice, responsabile Scuola del Pd, Francesca Puglisi: «I presidi individueranno professori che sono assunti dallo Stato a tempo indeterminato il prossimo 1° settembre. Questi insegnanti verranno abbinati agli ambiti territoriali in base alle graduatorie. È lì poi che si faranno incontrare le professionalità dei singoli professori con i bisogni delle scuole».
Ma con l’attuale formulazione del Ddl siamo davvero di fronte a “super-dirigenti”? «Assolutamente no. Non scherziamo», risponde il numero uno dell’Anp (l’Associazione nazionale presidi), Giorgio Rembado. Il Ddl, rispetto alla versione originaria licenziata dal governo, ha subito pesanti arretramenti. «È sparito ogni riferimento all’autonomia statutaria - spiega Rembado -. E ancora una volta non è stata prevista quella finanziaria, anzi ulteriormente compromessa dalla cancellazione del 5 per mille».
Anche sulla formulazione del piano triennale dell’offerta formativa (Pof), da atto principale di gestione affidato al dirigente, si è passati ad atto tecnico-professionale rimesso al collegio docenti «che quindi è chiamato a decidere dei propri interessi, cioè degli impegni di lavoro e pure del salario accessorio, visto che è collegato alle attività del Pof. Inoltre, si amplia il ruolo del consiglio d’istituto che adesso è chiamato ad approvarlo, il che include il potere, persino, di dare l’ok a un testo radicalmente modificato».
Peraltro, aggiunge Rembado, all’estero i poteri dei presidi sono più ampi, c’è una vera autonomia gestionale, «e ciò non crea il minimo scandalo». Anzi.
In Inghilterra, Olanda, Scandinavia, e buona parte dei Paesi dell’Est europeo, i presidi assumono direttamente gli insegnanti delle proprie scuole; e stabiliscono, anche, seppur all’interno di linee guida, stipendi ed eventuali gratifiche. Così accade pure negli Usa, in Canada e in parte dell’Asia, incluse realtà come Hong Kong, Singapore, Corea del Sud che, insieme alla Finlandia, primeggiano le classifiche internazionali sulla qualità degli apprendimenti. Anche in Francia i presidi possono assegnare gli insegnanti di ruolo alle classi di servizio; e affiancano gli ispettori ministeriali nel giudicare i docenti (la valutazione degli insegnanti dipende dal 60% dall’ispettore della loro materia e per il 40% dal dirigente). «Non si tratta di imitare o di importare ricette confezionate - chiosa Rembado -. Ma sarà, almeno, lecito chiedersi se a sbagliare siano i ¾ del mondo avanzato o se non valga la pena di avviare un qualche parziale riallineamento del nostro sistema educativo. Una buona scuola si misura innanzitutto dagli esiti dei suoi studenti».