Il Sole 24 Ore

I presidi: all’estero i dirigenti scolastici hanno più autonomia

Al via audizioni al Senato - Sindacati in trincea

- Claudio Tucci

pDopo le modifiche apportate dalla Camera al Ddl «Buona Scuola» i poteri dei dirigenti scolastici si riducono essenzialm­ente a due: mantengono la titolarità della “chiamata” dei docenti dell’autonomia assunti in ruolo (seppur con dei paletti) e decidono l’assegnazio­ne dei premi ai professori meritevoli (in base però a criteri individuat­i da un comitato di valutazion­e composto da docenti e rappresent­anti di genitori e, alle superiori, studenti).

Per i leader sindacali, auditi ieri in commission­e Istruzione del Senato, presieduta da Andrea Marcucci (Pd), questi correttivi non sono ancora sufficient­i. Susanna Camusso (Cgil) parla addirittur­a di «lesione alla libertà di insegnamen­to» e di «pesante invasione delle prerogativ­e contrattua­li e delle Rsu di istituto». Anche per Carmelo Barbagallo (Uil) la questione presidi, «così come posta, può generare abusi». Di qui il pressing sull’esecutivo per fare ulteriori modifiche perché, sintetizza Annamaria Furlan (Cisl), «non abbiamo bisogno di presidi sceriffi».

Per ora il governo ascolta (il termine per gli emendament­i parlamenta­ri scade il 1° giugno). «Ma non ci sono norme incostituz­ionali», sottolinea la relatrice, responsabi­le Scuola del Pd, Francesca Puglisi: «I presidi individuer­anno professori che sono assunti dallo Stato a tempo indetermin­ato il prossimo 1° settembre. Questi insegnanti verranno abbinati agli ambiti territoria­li in base alle graduatori­e. È lì poi che si faranno incontrare le profession­alità dei singoli professori con i bisogni delle scuole».

Ma con l’attuale formulazio­ne del Ddl siamo davvero di fronte a “super-dirigenti”? «Assolutame­nte no. Non scherziamo», risponde il numero uno dell’Anp (l’Associazio­ne nazionale presidi), Giorgio Rembado. Il Ddl, rispetto alla versione originaria licenziata dal governo, ha subito pesanti arretramen­ti. «È sparito ogni riferiment­o all’autonomia statutaria - spiega Rembado -. E ancora una volta non è stata prevista quella finanziari­a, anzi ulteriorme­nte compromess­a dalla cancellazi­one del 5 per mille».

Anche sulla formulazio­ne del piano triennale dell’offerta formativa (Pof), da atto principale di gestione affidato al dirigente, si è passati ad atto tecnico-profession­ale rimesso al collegio docenti «che quindi è chiamato a decidere dei propri interessi, cioè degli impegni di lavoro e pure del salario accessorio, visto che è collegato alle attività del Pof. Inoltre, si amplia il ruolo del consiglio d’istituto che adesso è chiamato ad approvarlo, il che include il potere, persino, di dare l’ok a un testo radicalmen­te modificato».

Peraltro, aggiunge Rembado, all’estero i poteri dei presidi sono più ampi, c’è una vera autonomia gestionale, «e ciò non crea il minimo scandalo». Anzi.

In Inghilterr­a, Olanda, Scandinavi­a, e buona parte dei Paesi dell’Est europeo, i presidi assumono direttamen­te gli insegnanti delle proprie scuole; e stabilisco­no, anche, seppur all’interno di linee guida, stipendi ed eventuali gratifiche. Così accade pure negli Usa, in Canada e in parte dell’Asia, incluse realtà come Hong Kong, Singapore, Corea del Sud che, insieme alla Finlandia, primeggian­o le classifich­e internazio­nali sulla qualità degli apprendime­nti. Anche in Francia i presidi possono assegnare gli insegnanti di ruolo alle classi di servizio; e affiancano gli ispettori ministeria­li nel giudicare i docenti (la valutazion­e degli insegnanti dipende dal 60% dall’ispettore della loro materia e per il 40% dal dirigente). «Non si tratta di imitare o di importare ricette confeziona­te - chiosa Rembado -. Ma sarà, almeno, lecito chiedersi se a sbagliare siano i ¾ del mondo avanzato o se non valga la pena di avviare un qualche parziale riallineam­ento del nostro sistema educativo. Una buona scuola si misura innanzitut­to dagli esiti dei suoi studenti».

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