Il mercato del domani chiede flessibilità e grandi investimenti
La revisione del sistema regolatorio Nel 2018 famiglie, negozi e uffici dovranno abbandonare le tariffe tutelate
pIl “libera-tutti” delle bollette energetiche doveva partire addirittura quest’estate per concludersi entro il prossimo anno. Nell’ultima versione della legge sulla concorrenza, il Governo ha corretto il tiro con un ulteriore, ma sembra ultimo, rinvio: l’operazione dovrà essere completata entro la prima parte del 2018.
In un mondo che cambia in modo radicale per la prima volta dopo 132 anni di storia dell’elettrificazione, la struttura classica delle bollette energetiche e del mercato appiono inadeguati. La drastica revisione delle bollette di elettricità e gas farà perno sull’abolizione della “maggior tutela”, quel retaggio delle vecchie tariffe amministrate ante-liberalizzazione che ancora oggi garantiscono alle famiglie e alle piccole imprese un sistema di garanzia. Garanzia fino al certo punto.
Perché oltre a rivelarsi incompatibile con la completa liberalizzazione del settore, voluta dall’Italia e comunque imposto dalle regole comunitarie, la bolletta “protetta” di oggi, specie quella dell’elettricità, è densa di palesi storture. Garantisce sconti ai consumi bassi (anche alle famiglie più facoltose), si rivale sui consumi più elevati (anche quelli realizzati per necessità delle famiglie numerose a basso reddito). Poiché più si consuma e più costa il singolo chilowattora, l’attuale progressività di prezzo scoraggia l’uso più efficiente del vettore elettrico a vantaggio di combustibili inquinanti. Basta pensare al riscaldamento e al condizionamento delle case e degli uffici, in cui le pompe di calore (elettriche) sono assai più efficienti rispetto alla caldaia classica, ma la tariffa progressiva attuale ne sconsiglia l’uso.
Vero è che circa un terzo di coloro che potrebbero ancora godere delle tariffe di maggior tutela hanno già deciso di transitare al mercato libero scegliendo tra gli operatori concorrenti, o semplicemente passando ad una formula “libera” dell’operatore tradizionale. E sappiamo che il passaggio può garantire risparmi anche consistenti, ma in qualche caso è insidioso. Se si sceglie bene, e si evitano i tranelli, i benefici possono arrivare addirittura a tagliare di un terzo (lo testimonia l’ultima rilevazione di Nomisma Energia) i costi energetici, considerando i bonus e gli sconti collaterali, ad esempio sotto forma di polizze assicurative e tessere commerciali a punti.
L’ormai imminente passaggio obbligato al mercato libero garantirà a tutti consumatori le condizioni migliori? Sarà comunque assicurata la necessaria trasparenza delle offerte? «I tre anni che ci separano dal 2018 sono un tempo ragionevole per dare al mercato una configurazione pienamente concorrenziale», ripete in una audizione parlamentare il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi.
Lo scenario sta cambiando radicalmente. La revisione delle bollette con l’abolizione del vecchio e contraddittorio “paracadute” è forse un obbligo. Ma a richiamare alla cautela è perfino l’Autorità per l’energia. Che sta perciò aprendo una nuova consultazione pubblica sul tema. La rivoluzione, nonostante il mirabile e auspicabile obiettivo di liberare davvero tutte le forze del mercato potrebbe nascondere — questo il messaggio esplicito dell’Autorità guidata da Guido Bortoni — qualche contraccolpo da un libera-tutti non gestito al meglio.
Sottofondo, ma non tanto, c’è anche un tema meno visibile alla gran massa dei consumatori, ma davvero importante per l’efficienza dei servizi. Riguarda la capacità delle imprese di proseguire anzi incrementare gli investimenti per la qualità, anzi per la trasformazione obbligata, delle reti e dei sistemi di governo tecnico e infrastrutturale dell’energia. Questo perché in realtà le tariffe, secondo gli orientamenti reiterati del governo e delle authority nel nostro paese, non saranno totalmente liberalizzate.
Sarà sottratta all’amministrazione solo la parte relativa alla vendita e al costo del combustibile, mentre rimarranno sotto tutela amministrativa tutte quelle voci, che rappresentano la metà e oltre del totale della bolletta, che riguardano ad esempio i costi di adeguamento e manutenzione delle reti, della distribuzione, della misura. Insomma tutto ciò che ha a che fare con i costi riconosciuti nelle tariffe (o, per usare un linguaggio più consono con la liberalizzazione, con la struttura dei prezzi finali) non solo per assicurare una corretta manutenzione del sistema energetico ma anche, e soprattutto, per traghettarlo verso il nuovo scenario delle reti intelligenti (smart grid, smart city).
Un sfida che ha a che fare con l’obbligo dettato dall’avvento poderoso delle energie rinnovabili che mettono in crisi l’attuale bilanciamento delle reti e dell’energia distribuita, che rende più “democratico“e moderno il sistema ma complica maledettamente i suoi equilibri e dunque la sua gestione.
Rab (regulated asset base, insomma la regolazione delle componenti di costo da riconoscere), price cap dei costi operativi (ovvero i parametri limite da concordare per commisurare tutto ciò), regolazione incentivante degli output (il sistema di premi e penalità che vincola agli obiettivi). Su questi termini tecnico-economici ne vedremo delle belle nei prossimi mesi.
Gli strateghi delle società energetiche sono sotto pressione. Il dibattito e gli altolà si intensificano. In gioco c’è davvero il futuro del nostro sistema energetico. Vale la pena di ricordare a questo proposito quel che ci dicono gli analisti dello Iefe-Bocconi in uno studio di qualche mese fa. Finora — dicono i professori — il quadro regolatorio si è dimostrato adeguato ad attrarre gli ingenti investimenti necessari all’ammodernamento della rete elettrica ad indurre i gestori a comportamenti efficienti e a migliorare la qualità dei servizi.
Tant’è che «dall’avvio della regolazione sono stati investiti oltre 7 miliardi di euro nella trasmissione e oltre 18 miliardi di euro nella distribuzione». E non certo con una penalizzazione indebita degli utenti visto che negli ultimi 15 anni, tra l’altro, «l’incidenza della componente costi di rete sul prezzo dell’energia per il cliente finale è scesa del 9% a fronte di aumenti della componente energia del 103%, degli oneri di sistema (dove ci sono tra l’altro i sussidi alle rinnovabili, n.d.r.) del 417% e delle imposte dell’80%». Insomma: attenti a tagliare troppo gli investimenti riconosciuti, proprio ora che un nuovo massiccio sforzo di modernizzazione è un obbligo assoluto.