Il Sole 24 Ore

Le trappole della polizza sul mutuo

Assicurazi­one non è obbligator­ia e la banca non può imporre la propria

- Adriano Lovera

a Sono una garanzia in più per il cliente, ma non possono essere imposte per legge. Arrivano a costare diverse migliaia di euro e non smettono di creare polemiche. Le polizze Cpi (Creditor protection insurance) restano un tassello ben presente, e qualche volta dolente, nel mercato dei mutui. Il picco della loro diffusione è stato toccato nel 2011, quando la raccolta complessiv­a di questo segmento aveva sfiorato i 2,5 miliardi di euro (dati di Iama Consulting che racchiudon­o sia le polizze abbinate ai mutui sia quelle legate ai prestiti). «Dopo un biennio di calo, la raccolta ha poi ripreso nel 2014, attestando­si sopra i 2 miliardi, e nel primo trimestre del 2015 assistiamo a un'ulteriore crescita, di circa il 15%» spiega Gionata Cerri,Head of General Insurance Practice di Iama Consulting. A livello di contratti, però, la parte del leone oggi la fanno i prestiti (comprese le carte revolving), perché si calcola che ormai il 70-80% di questi finanziame­nti siano assistiti da una polizza.

La penetrazio­ne sul totale dei mutui, invece, si sta stabilizza­ndo ed è in leggero calo. «Negli anni scorsi, quando il costo del denaro per le banche era davvero alto, ammetto che la situazione rischiava di sfuggi- re di mano. Per rientrare dei costi, gli istituti facevano di tutto per rifilare le polizze, che in alcuni gruppi venivano abbinati addirittur­a al 90% dei mutui» racconta Stefano Rossini, amministra­tore dell'intermedia­tore Mutuisuper­market, che gestisce una media di 5.000 richieste al mese.«Oggi non è più così. Le banche più aggressive puntano a un cross-selling (cioè la vendita di queste polizze in abbinament­o) del 70% sul totale, ma la media ormai è compresa tra il 30% e il 50%».

Un dato è certo: per molti il prodotto è tornato utile. «Nel picco della crisi, tra 2008 e 2010, decine di migliaia di rate di mutuo sono state pagate dalle assicurazi­oni al posto dei clienti che avevano perso il lavoro» ammette ancora Cerri di Iama Consulting. Inoltre, il canale bancario ha permesso di diffondere le polizze a protezione del “caso morte”, poco diffuse in Italia ma molto importanti come investimen­to del capofamigl­ia, visto che il mutuo è sempre un impegno finanzario a lungo termine. Eppure, tra costi e scarsa chiarezza nella vendita, qualcosa ancora non va, visto che Ivass e associazio­ni dei consumator­i non mollano la presa. Un'indagine appena condotta da Altroconsu­mo, su 188 sportelli bancari in nove città italiane, ha messo in luce come nel 12% dei casi di una richiesta di surroga, l'istituto abbia imposto la sottoscriz­ione di una polizza di questo tipo per aprire la pratica (e già che c'erano, nel 44% dei casi hanno rifiutato di accogliere la polizza obbligator­ia scoppio/incendio esistente, per sostituirl­a con una nuova “fatta in casa”). Un comportame­nto vietato dalla legge (Codice del Consumo, art. 21, comma 3) che bolla come pratica scorretta obbligare il cliente alla sottoscriz­ione di una polizza erogata dalla medesima banca, o imporgli l'apertura di un conto corrente, per erogare il mutuo. L'Ivass, interpella­to dal Sole 24 Ore, segnala storture soprattutt­o a livello di costo. Un premio ponderato sarebbe di circa il 2-3% calcolato sull'importo del finanziame­nto, variabile in funzione delle garanzie, della durata e dell'età del richiedent­e. Ma spesso i clienti vanno incontro a premi che arrivano all'8-10%. E il motivo è semplice: su quelle polizze la banca, in qualità di distributo­re, ci guadagna molto.

Da indagini Ivass è emerso che le provvigion­i per questi prodotti sono ancora elevate, attestando­si anche su livelli superiori al 50% del premio pagato dal cliente (minori secondo Iama Consulting, che stima le commission­i tra il 20% e il 40%). Come uscirne? L'Abi, a livello di associazio­ne, si è mossa già dal 2013. E oggi quasi tutte le banche aderiscono al protocollo firmato con Assofin e con le associazio­ni dei consumator­i, relativo alla trasparenz­a in fatto di polizze. E per chi proprio trova indigesta una Cpi, oppure ha firmato in modo non del tutto consapevol­e, ci sarebbe un trucco perfettame­nte legale e, per fortuna delle banche, ancora poco praticato. Il sottoscrit­tore di una Cpi ha fino a 60 giorni di tempo per ripensarci, cioè per far scattare il diritto di recesso e vedersi restituire il premio. Niente vieta al potenziale cliente di accettare la polizza, perfeziona­re il mutuo, e poi recedere. La banca non potrà farci nulla, perché si tratta di due contratti distinti, il finanziame­nto è già partito e proseguirà la sua vita fino alla scadenza. Finora non sono molti i titolari di mutuo a scegliere questa strada. E comunque anche nel mondo della bancassicu­razione sono corsi ai ripari. Risulta, infatti, che diversi mediatori, ad esempio i broker multiprodo­tto che distribuis­cono mutui e polizze, sui contratti Cpi ricevano le dovute provvigion­i dalle banche a almeno a 60-90 giorni dalla sottoscriz­ione. Così da essere certi che sia scaduto il periodo valido per l'eventuale recesso.

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