Londra: referendum Ue forse già l’anno prossimo
LA SFIDA DI CAMERON Il premier comincia il road show tra i partner dell’Unione per convincerli ad accettare le “eccezioni” di Londra all’adesione
«I l mio governo rinegozierà il rapporto fra Regno Unito e Unione europea e cercherà di riformare l’Ue a beneficio di tutti gli stati membri». Elisabetta II, assisa sul trono e con la corona sul capo si interrompe un istante, poi riprende. «Inoltre la legislazione necessaria sarà presto introdotta per svolgere il referendum popolare sulla partecipazione all’Unione europea da tenersi entro la fine del 2017». Il dado è tratto, se qualcuno aveva ancora residui, improbabili dubbi.
Oggi stesso la legge che istituisce la consultazione arriva a Westminster, avviando un iter che si concluderà con il voto ai Comuni. Passerà senza alcun problema, avendo ormai anche il pieno sostegno dell’opposizione laburista. La procedura adottata è quanto di più simile a quella d’urgenza e questo consentirà al primo ministro David Cameron di tenersi le mani libere sulla data della consultazioni. Cresce, infatti, la sensazione che già nell’estate del prossimo anno 45 milioni persone – tanti sono gli “aventi diritto” – saranno chiamate ad esprimersi su un passaggio storico.
L’annuncio, infiocchettato dagli addobbi che Westminster inalbera nelle grandi occasioni, è giunto dall’augusta sovrana nel corso del Queens speech, ovvero la lista di leggi che il primo ministro David Cameron intende varare, ma che è la regina ad annunciare. Elisabetta II ha letto il programma del suo governo, il primo tutto conservatore da una ventina d’anni, poi ha lasciato virtualmente la parola ai nuovi deputati della Camera dei Comuni per il dibattito. E gli spunti non sono mancati vista la qualità delle leggi che David Cameron ha messo in campo, prodotto di una campagna elettorale che concedeva bocconi a tutti sperando di consolidare il consenso anche oltre il bacino tradizionale dei tories. Capita di rado che un gover- no si impegni formalmente – una legge lo sancirà – a non alzare le imposte Irpef , l’Iva e i contributi previdenziali per tutta la legislatura. Così come non capita di frequente che un governo sancisca per legge l’esenzione fiscale totale per chiunque lavori fino a trenta ore la settimana al salario minimo. Passaggi che confermano la volontà dell’esecutivo di cogliere il ceto medio, apparendo più equo nelle politiche sociali e nelle logiche di redistribuzione della ricchezza nazionale.
Resta da capire come David Cameron riuscirà a declinare tutto ciò con la volontà del Cancelliere dello Scacchiere George Osborne determinato a tagliare la spesa pubblica di decine di miliardi di sterline nei prossimi cinque anni. Perché, non va dimenticato, nonostante il risanamento e la crescita sostenuta Londra ha ancora un disavanzo pubblico che supera il 5,5% del pil.
La sfida più delicata è però quella, irreversibile, della par- tecipazione di Londra all’Unione europea. David Cameron non ha ancora fatto sapere come sarà formulato il quesito, ma è trapelato che sarà in “positivo”, ovvero il “sì” sancirà la volontà di continuare la liaison con Bruxelles. E questo potrebbe favorire chi si oppone al Brexit. Oggi stesso, mentre la legge istitutiva del referendum arriva ai Comuni, il premier britannico avrà colloqui con la collega danese Helle Thornig-Schmidt. Il passaggio a Copenaghen proseguirà con L’Aja, Parigi, Varsavia e si concluderà a Berlino da Angela Merkel. Londra vuole valutare la disponibilità dei partner alle clausole di esenzioni che intende trattare. Un arco di richieste che spazia dall’immigrazione, alla tutela dei servizi finanziari in caso di ulteriore integrazione dell’eurozona.
Parigi e Berlino hanno già fatto sapere, indirettamente, che Londra si può scordare la variazione dei trattati esistenti. Mossa prevista da Londra: complica ma non rende impossibile la missione di David Cameron. Un giro d’orizzonte che lo porterà a consultare tutti i governi dell’Ue – vedrà Matteo Renzi a Milano fra tre settimane – prima del vertice Ue di fine giugno.
Il fronte esterno non è l’unico che pesa sul capo del governo britannico. Dal 7 maggio i nazionalisti scozzesi sono il terzo partito ai Comuni e Nicola Sturgeon già comincia a spingere sul premier. Snp, infatti, chiederà che il referendum abbia una doppia maggioranza, quella dei cittadini del Regno Unito e quella delle singole nazioni ovvero scozzesi, inglesi, gallesi, nordirlandesi. Il “niet” di Downing street è scontato, ma è altrettanto certo che, in questo caso, Edimburgo chiederà un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia. E il puzzle britannico tornerà così a scomporsi nel temuto scenario di una dissoluzione del Regno come diretta conseguenza del minacciato addio a Bruxelles.