Falsa fatturazione con criteri precisi
Non è configurabile la falsa fatturazione per operazioni realmente avvenute e pagate anche se gli importi sono ritenuti non congrui. Lo precisa la sentenza 22108/2015 della Cassazione depositata ieri.
La pronuncia trae origine da un sequestro preventivo effettuato su beni del rappresentante legale e degli amministratori di fatto di alcune società che, secondo l’accusa, in accordo fra loro avevano emesso e inserito in dichiarazione fatture per operazioni inesistenti. Si trattava di prestazioni di lavoro dipendente fatturate da alcune società considerate cartiere a una terza impresa a cui, in realtà, erano riconducibili i rapporti di lavoro dipendente. Così facendo la terza società ha dedotto i costi e detratto l’Iva poi compensata con gli oneri previdenziali e assistenziali.
Gli interessati hanno presentato ricorso per cassazione. Tra i motivi dell’impugnazione era evidenziato che la stessa agenzia delle Entrate aveva successivamente riconosciuto l’oggettiva esistenza delle prestazioni pur non ritenendo congrui i canoni pattuiti mentre il Tribunale aveva ignorato tale circostanza. I giudici di legittimità hanno ritenuto fondata tale eccezione precisando la nozione di operazione inesistente e del reato di dichiarazione fraudolenta. Questo delitto, secondo la sentenza, sussiste in tutte le ipotesi di divergenza tra realtà commerciale ed espressione documentale. Rientrano quindi nella rilevanza penale: 1) l’inesistenza oggettiva quando l’operazione non è mai stata posta in essere nella realtà; 2) l’inesistenza relativa quando l’operazione vi è stata ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura; 3) la sovrafatturazione qualitativa allorché il documento attesta la cessione di beni e/o servizi con un prezzo maggiore di quelli forniti.
Sono invece esclusi dalla rilevanza penale i casi di non congruità dell’operazione realmente effettuata e pagata. Da qui l’accoglimento del ricorso in quanto si era verificato una non congruità dei canoni pattuiti per le prestazioni effettuate.
Inoltre, secondo l’indagato in base alla vigente normativa sull’indeducibilità dei costi da reato non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni e delle prestazioni direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il Pm abbia esercitato l’azione penale. Nello specifico, le prestazioni lavorative erano state effettivamente rese sebbene da lavoratori formalmente dipendenti da società cartiere. Quindi i costi erano deducibili. Secondo i giudici, invece, l’indeducibilità di tali costi non deriva esclusivamente dal loro impiego per finanziare atti immediatamente qualificabili come de littodalla loroinerenza apiùgeneraliatti vità delittuose alle quali, come nella specie, l’impresa non sia estranea e per il cui perseguimento abbia sostenuto costi fittiziamente fatturati. L’interpretazione pone molti interrogativi ma risente di un problema iniziale: non si trattava di fatture oggettivamente ( come ipotizz ato dall’accusa) ma soggettivamente inesistenti altrettanto perseguibili penalmente. In questo caso sarebbe stata irrilevante la deducibilità fiscale del costo, realmente sostenuto e anche inerente.