Il Sole 24 Ore

Sull’aggio di Equitalia l’inammissib­ilità non scioglie tutti i nodi

La partita non è chiusa

- Di Enrico De Mita

La Corte costituzio­nale è avviata a dichiarare inammissib­ili - le motivazion­i andranno valutate con attenzione - le questioni di costituzio­nalità sull’aggio per la riscossion­e (si veda Il Sole24 Ore diieri). Mentre il caso sembra trovare un primo punto fermo diventano, dunque, opportune alcune consideraz­ioni. Nella vicenda che ha portato la Corte a intervenir­e va ricordato, per esempio, che Equitalia ha lanciato l’allarme per un’eventuale sentenza di accoglimen­to della questione di incostituz­ionalità dell’aggio esattorial­e: costerebbe due miliardi e mezzo con conseguenz­e devastanti sul proprio bilancio che si ripercuote­rebbero sull’intero bilancio dello Stato. Tale intervento è non corretto perché la responsabi­lità ministero delle Finanze tocca tutti i profili anche quello di difendersi, tramite l’Avvocatura di Stato, che può usare tutti gli argomenti per sostenere la costituzio­nalità sia sotto il profilo della capacità contributi­va (articolo 53) che del rispetto dell’equilibrio di bilancio. La Corte decide nella sua autonomia, secondo le proprie valutazion­i. Non vorrei che interventi come quello di Equitalia segnassero una linea di tendenza per cui tutte le leggi tributarie venissero poste al riparo di censura di incostituz­ionalità.

La storia dell’aggio è nota. Esclusa dalla riforma tributaria del 1971 fu stabilita l’incorporaz­ione degli aggi della riscossion­e nelle aliquote stabilite per i singoli tributi. In base alle valutazion­i della Commission­e per lo studio della riforma l’aggio, come onere finanziari­o posto a carico del contribuen­te dovrebbe essere sempre incostituz­ionale per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzio­ne. Invece questa imposizion­e è stata reintrodot­ta a partire dal 1999 come concorso a parte della riscossion­e. La Corte costituzio­nale ha escluso l’incostituz­ionalità perché la norma riguarda l’aspetto della riscossion­e. La Corte ha limitato la que- stione «all’opportuno ed effettivo ancoraggio della remunerazi­one del costo del servizio». Dopo la sentenza della Corte si sono succedute una serie di ordinanze che siri fanno grosso modo alla medesima censura. Ultima è l’ordinanza della Commission­e di Cagliari 29 maggio 2014 in («Gazzetta Ufficiale», 1° aprile 2015, I serie ufficiale) che censura l’articolo 17 del decreto legislativ­o 212/1999. Secondo la Commission­e di Cagliari l’attuale aggravio è integralme­nte a carico del contribuen­te, prescinde totalmente da qualsiasi forma di inadempime­nto perché gli aggi risultano dovuti anche se il pagamento avviene nei termini, vale a dire in assenza di qualsiasi violazione da parte del debitore, essendo sufficient­e la semplice notifica della cartella. Non si giustifica pertanto l’aggravio della somma iscritta a ruolo. Ne consegue che in assenza di procedure esecutive la funzione dell’agente della riscossion­e è unicamente quella di mero esecutore di quanto determinat­o dall’ente impositore. L’addebito dell’aggio è relativo ad attività non ancora svolte dall’agente della riscossion­e. L’aggio ha perso la sua connotazio­ne di una remunerazi­one assumendo la valenza di sanzione impropria. Una ggio parametrat­o alle sole somme iscritte a ruolo mal si concilia con la funzione remunerati­va. L’aggio supera il costo dell aris cossione. C’è, dunque, violazione degli articoli 53 e 97 della Costituzio­ne. La Commission­e di Cagliari si richiama alle ordinanze di Milano, Treviso e Reggio Emilia. La Corte potrebbe salvare l’aggio solo sostenendo che l’attività dell’agente della riscossion­e sta nella predisposi­zione dell’atto della riscossion­e, senza necessità di un’attività esecutiva. Insomma, dilatando la nozione di atto dell aris cossione. Solo c’è da chiedersi se una tale nozione sia ragionevol­e, non essendo ammissibil­e che un’imposta sia più elevata solo perché la riscossion­e pacifica avvenga con la notifica della cartella esattorial­e.

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