Sull’aggio di Equitalia l’inammissibilità non scioglie tutti i nodi
La partita non è chiusa
La Corte costituzionale è avviata a dichiarare inammissibili - le motivazioni andranno valutate con attenzione - le questioni di costituzionalità sull’aggio per la riscossione (si veda Il Sole24 Ore diieri). Mentre il caso sembra trovare un primo punto fermo diventano, dunque, opportune alcune considerazioni. Nella vicenda che ha portato la Corte a intervenire va ricordato, per esempio, che Equitalia ha lanciato l’allarme per un’eventuale sentenza di accoglimento della questione di incostituzionalità dell’aggio esattoriale: costerebbe due miliardi e mezzo con conseguenze devastanti sul proprio bilancio che si ripercuoterebbero sull’intero bilancio dello Stato. Tale intervento è non corretto perché la responsabilità ministero delle Finanze tocca tutti i profili anche quello di difendersi, tramite l’Avvocatura di Stato, che può usare tutti gli argomenti per sostenere la costituzionalità sia sotto il profilo della capacità contributiva (articolo 53) che del rispetto dell’equilibrio di bilancio. La Corte decide nella sua autonomia, secondo le proprie valutazioni. Non vorrei che interventi come quello di Equitalia segnassero una linea di tendenza per cui tutte le leggi tributarie venissero poste al riparo di censura di incostituzionalità.
La storia dell’aggio è nota. Esclusa dalla riforma tributaria del 1971 fu stabilita l’incorporazione degli aggi della riscossione nelle aliquote stabilite per i singoli tributi. In base alle valutazioni della Commissione per lo studio della riforma l’aggio, come onere finanziario posto a carico del contribuente dovrebbe essere sempre incostituzionale per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione. Invece questa imposizione è stata reintrodotta a partire dal 1999 come concorso a parte della riscossione. La Corte costituzionale ha escluso l’incostituzionalità perché la norma riguarda l’aspetto della riscossione. La Corte ha limitato la que- stione «all’opportuno ed effettivo ancoraggio della remunerazione del costo del servizio». Dopo la sentenza della Corte si sono succedute una serie di ordinanze che siri fanno grosso modo alla medesima censura. Ultima è l’ordinanza della Commissione di Cagliari 29 maggio 2014 in («Gazzetta Ufficiale», 1° aprile 2015, I serie ufficiale) che censura l’articolo 17 del decreto legislativo 212/1999. Secondo la Commissione di Cagliari l’attuale aggravio è integralmente a carico del contribuente, prescinde totalmente da qualsiasi forma di inadempimento perché gli aggi risultano dovuti anche se il pagamento avviene nei termini, vale a dire in assenza di qualsiasi violazione da parte del debitore, essendo sufficiente la semplice notifica della cartella. Non si giustifica pertanto l’aggravio della somma iscritta a ruolo. Ne consegue che in assenza di procedure esecutive la funzione dell’agente della riscossione è unicamente quella di mero esecutore di quanto determinato dall’ente impositore. L’addebito dell’aggio è relativo ad attività non ancora svolte dall’agente della riscossione. L’aggio ha perso la sua connotazione di una remunerazione assumendo la valenza di sanzione impropria. Una ggio parametrato alle sole somme iscritte a ruolo mal si concilia con la funzione remunerativa. L’aggio supera il costo dell aris cossione. C’è, dunque, violazione degli articoli 53 e 97 della Costituzione. La Commissione di Cagliari si richiama alle ordinanze di Milano, Treviso e Reggio Emilia. La Corte potrebbe salvare l’aggio solo sostenendo che l’attività dell’agente della riscossione sta nella predisposizione dell’atto della riscossione, senza necessità di un’attività esecutiva. Insomma, dilatando la nozione di atto dell aris cossione. Solo c’è da chiedersi se una tale nozione sia ragionevole, non essendo ammissibile che un’imposta sia più elevata solo perché la riscossione pacifica avvenga con la notifica della cartella esattoriale.