Sequestro, prima i liquidi
I beni dell’imprenditore indagato per omesso versamento dell’Iva sono sequestrabili solo dopo aver verificato l’assenza di denaro liquido in capo all’impresa. Inoltre, costituiscono profitto del reato e sono dunque aggredibili preventivamente, anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa e i beni in cui questo è trasformato. Ad affermare questi principi è la Corte di cassazione con la sentenza n. 22127 , depositata ieri.
Una società ometteva di versare l’Iva dovuta al fisco e gli amministratori, susseguitesi nel tempo, venivano indagati per il reato ex art. 10-ter, D.Lgs. 74/00.
In sede cautelare, il Gip applicava la misura del sequestro preventivo per equivalente su beni di proprietà degli imprenditori.
La difesa ricorreva, dunque, innanzi al Tribunale del riesame, lamentando che prima di aggredire i beni personali degli indagati si sarebbero dovute aggredire in via diretta le casse societarie, in cui era ancora conservato il “risparmio” di imposta. A tal proposito veniva richiamata la ormai nota pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione n. 10561/2014.
Il Tribunale della libertà confermava il provvedimento di sequestro. Secondo i giudici il “risparmio di spesa” derivante dall’illecito tributario non costituisce profitto dei reati sequestrabile in via diretta. Infatti, qualora il profitto sia rappresentato da denaro, il sequestro diretto deve essere applicato solo ed esattamente su quelle banconote che costituiscono risparmio di spesa di quella specifica violazione.
Gli indagati ricorrevano, dunque, in Cassazione che accoglieva il ricorso.
I supremi giudici chiariscono una volta per tutte che il profitto di un reato tributario si identifica nel risparmio di imposta. Dunque, se nelle casse della società viene rinvenuto del denaro, trattasi di profitto confiscabile direttamente riconducibile al reato. Non occorre, a tal fine, che si tratti delle specifiche banconote risparmiate ma occorre, genericamente, la capienza delle casse societarie. Inoltre, non è necessario che il denaro rinvenuto sia “liquido”, poiché costituiscono profitto del reato anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa ed i beni in cui questo è trasformato. Da qui l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale della libertà.