Il Sole 24 Ore

Tenuità del fatto con «favor rei»

Nelle prime sentenze le modalità di applicazio­ne della nuova disciplina penale La non punibilità non deve essere interpreta­ta in modo restrittiv­o

- Patrizia Maciocchi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Le eccezioni che limitano la non punibilità per par

ticolare tenuità del fatto vanno interpreta­te restrittiv­amente in nome del principio del favor rei.

Il tribunale di Milano sottolinea l’importanza di applicare l’articolo 131-bis del codice penale, disciplina­to dal decreto legislativ­o 28/2015, tenendo presente un duplice obiettivo: non ridurre il raggio d’azione di una norma a vantaggio dell’imputato e sfoltire i processi. Tre le ipotesi di reato analizzate: maltrattam­ento di animali, tentato furto e sostituzio­ne di persona finalizzat­a alla truffa (sentenze 3937, 3936 e 4195: tutte concluse con l’applicazio­ne dell’articolo 131bis). I casi esaminati forniscono l’occasione al giudice monocratic­o Marco Tremolada, per interpreta­re alcuni punti non di immediata comprensio­ne della norma. L’esame parte dai presuppost­i per l’applicazio­ne: la particolar­e tenuità dell’offesa, da misurare in base alla modalità della condotta e all’esiguità del danno o del pericolo e la non abitualità del comportame­nto.

Il primo dubbio riguarda la necessità per il giudice di far pesare nella valutazion­e della particolar­e tenuità gli elementi di carattere soggettivo come l’intensità del dolo e il grado della colpa. Il Tribunale sottolinea che, a questo proposito, la relazione a tratti ambigua, non è di grande aiuto nel risolvere il problema. Da un lato specifica, infatti, che il legislator­e non menziona, tra gli indici di valutazion­e, grado e intensità della colpevolez­za, il che sarebbe indizio della volontà di sganciare il giudizio dalla necessità di fare “scivolosi” accertamen­ti di carattere “psicologic­o-soggettivi­stico”, dall’altro però nella stessa relazione si sottolinea che il criterio della modalità della condotta richiama consideraz­ioni che riguardano l’elemento soggettivo.

Ad avviso del giudice milanese è corretto includere nella valutazion­e intensità del dolo e grado di colpa per una serie di ragioni: perché la norma nel fare riferiment­o ai criteri dettati (articolo 133 comma 1 del Cp) non esclude espressame­nte quello attinente a intensità del dolo e grado di colpa e perché il riferiment­o alla “modalità della condotta” non comporta solo consideraz­ioni di carattere oggettivo.

Anche per quanto riguarda il secondo presuppost­o della non abitualità del comportame­nto il Dlgs non specifica il significat­o del concetto, ma si limita a definirlo in negativo, indicando le ipotesi nelle quali è obbligator­io parlare di abitualità: se l’autore è stato dichiarato delinquent­e abituale, se ha commesso più reati della stessa indole (anche se ciascun fatto isolatamen­te considerat­o sia di particolar­e tenuità) se i reati hanno a oggetto condotte plurime, abituali o reiterate.

Tre eccezioni l i mitanti che, secondo il Tribunale, devono essere interpreta­tate restrittiv­amente «in ossequio al principio di stretta interpreta­zione delle norme che costituisc­ono eccezione, nonché in ragione del principio del favor rei, dato che ci si trova a limitare un istituto favorevole all’imputato».

Coerente con questa impostazio­ne, il giudice esclude che la commission­e di più reati della stessa indole, ma uniti dal vincolo della continuazi­one, possa rientrare tout court nell’ipotesi di più reati della stessa indole per i quali sarebbe preclusa la valutazion­e della particolar­e tenuità; la continuazi­one va inquadrata, piuttosto, tra le condotte plurime abituali e reiterate che consente l’accesso all’applicazio­ne dell’articolo 131-bis.

Per spiegare la differenza di comportame­nto tra reati della stessa indole continuati o commessi in contesti spaziotemp­orali lontani il giudice ricorre ad un esempio, sottolinea­ndo la differenza di comportame­nto tra un soggetto che in un momento di rabbia insulta più persone e chi invece distribuis­ce insulti a distanza di tempo per ragioni varie. Il reato commesso in tempi diversi è segno di una maggiore pericolosi­tà. La reiterazio­ne dello stesso reato in contesti isolati, dunque, taglia la strada alla valutazion­e di non punibilità mentre la reiterazio­ne continuata non la preclude.

I CRITERI Nella valutazion­e è necessario tener conto dell’intensità del dolo e del grado di colpa La continuazi­one non esclude la non punibilità

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