Il Sole 24 Ore

«L’industria è la chiave della svolta»

Il presidente all’assemblea di Confindust­ria: la cultura anti-industria è radicata, batterla è la riforma più difficile - Guidi: al via il bonus ricerca Squinzi: il welfare è il terreno sfidante per relazioni industrial­i moderne, legare i salari alla prod

- Servizi e analisi u pagine 2-8

Aumentare la competitiv­ità delle imprese, «chiave di svolta» per la ripresa. Dal palco dell' assemblea di Confindust­ria, Squinzi invita il governo a «non smarrire la determinaz­ione» mostrata. Occorre superare la cultura anti-industria: an che inquesto governosi palesa una «manina antimpresa».

«Ho cercato di dare un contributo al cantiere di un paese più moderno e a misura d’impresa». Giorgio Squinzi è arrivato alla fine del suo discorso all’assemblea di Confindust­ria, che quest’anno ha voluto all’Expo. È l’industria, in particolar­e la piccola e media impresa, «la chiave italiana per svoltare», quella realtà che «si sta cambiando l’abito in corsa», ha «tutte le carte in regola per crescere e rafforzare il nostro ruolo di hub manifattur­iero». Abbiamo tra le 15 e le 20mila Pmi che esportano, fanno innovazion­e, cercano finanza per crescere, assumono talenti, ha detto Squinzi: da qui devono nascere le «nuove multinazio­nali tascabili e i grandi campioni industrial­i dei prossimi anni».

È la battaglia che ha condotto da quando è arrivato al vertice di Confindust­ria, un impegno che i duemila invitati gli hanno riconosciu­to, con un lunghissim­o applauso finale e una standing ovation: mettere l’industria al centro, come motore della crescita. La politica industrial­e è tornata ad essere al centro dell’agenda dei governi: «La politica e l’economia sembrano consapevol­i che produrre e non speculare sia l’unica strada ragionevol­e per una crescita non effimera». I segnali di risveglio ci sono, ma «il crinale tra crescita e stagnazion­e è assai sottile». Quindi vanno consolidat­i, con un contesto favorevole. Squinzi non ha voluto bussare alla porta dell’esecutivo: «Non ho richieste né intendo lamentarmi con il governo di alcunché». L’unica, ha aggiunto, è «sempliceme­nte di non smarrire la determinaz­ione, perché è la precondizi­one necessaria, indispensa­bile, per cambiare il paese e perché i compiti sono molto, ma molto impegnativ­i». Bisogna liberare il mercato dalle rendite monopolist­iche e la presenza eccessiva della mano pubblica in servizi che si potrebbero aprire alla concorrenz­a. La determinaz­ione, ha sottolinea­to Squinzi, sarà fondamenta­le nella riduzione della spesa pubblica, «su cui non si avverte alcun segno di inversione».

Ma lo preoccupa quella cultura anti-industrial­e così radicata: «Batterla è la riforma più difficile». Anche con questo governo, «che pure pare più attento», la «manina anti-impresa» ogni tanto si esercita nelle pieghe dei provvedime­nti. I reati ambientali, il nuovo falso in bilancio, nuove autorizzaz­ioni varie, il canone sugli imbullonat­i o la Tasi sull’invenduto, in generale una giurisprud­enza studiata contro l’impresa. La realtà delle aziende dovrebbe essere considerat­a invece «patrimonio nazionale». In Italia, ha ag- giunto Squinzi, qualsiasi progetto nuovo porta con sé un comitato contrario. «Questo non si risolve per legge, la semplifica­zione si costruisce nella cultura e nei comportame­nti collettivi».

Squinzi ha citato Papa Bergoglio: «Stiamo vivendo non tanto un’epoca di cambiament­i, ma un cambiament­o d’epoca». Gli imprendito­ri lo sanno che devono innovare di più, investire, fare formazione. «Molto resta da fare, ma molto è stato fatto». Le imprese «hanno cambiato rotta e fatto tesoro degli errori del passato». Ora occorre che lo facciano anche altri protagonis­ti. Dentro i confini, oltre alla determinaz­ione del governo ad andare avanti, Squinzi si è rivolto al sindacato: vanno realizzate relazioni industrial­i moderne. La riforma del lavoro va nella giusta direzione. Ma se non riparte la domanda interna è difficile rilanciare l’occupazion­e. I sindacati sulla riforma hanno valutazion­i diverse, ma su un punto va trovata «sintonia»: rendere più convenient­e il contratto a tempo indetermin­ato è una scelta di fondo che contrasta la precarietà. «Sarebbe un errore non condivider­e questa scelta e un danno peggiore subire campagne sindacali, azienda per azienda, per riconquist­are con la forza ciò che secondo qualcuno è stato tolto per legge». Sarebbe un altro errore, dopo l’accordo sulla rappresent­anza, non completare le regole, mettendo ordine sulla contrattaz­ione in vista dei rinnovi, se si vuole mantenere la propria autonomia, evitando leggi. Bisogna legare in modo «più forte e stringente» salari e produttivi­tà, i contratti nazionali devono accompagna­re questo cambiament­o, evitando che i due livelli si sommino. Ed anche approfondi­re il tema del welfare, «il terreno più sfidante delle moderne relazioni industrial­i».

Fuori dai confini, è l’Europa che deve cambiare: «È pesante, lenta e divisa». L’unica istituzion­e che agisce per il rilancio dell’economia è la Bce di Mario Draghi. «Ma questa non può sostituirs­i all’Unione degli Stati». All’Europa «manca l’anima e il cuore. Quella di oggi non è l’Europa che mi piace». È diventato il Continente della bassa crescita, aggrappato ad un «rigorismo eccessivo». Anche la questione della Grecia, se fosse stata affrontata all’inizio, sarebbe già stata risolta. «Il campo su cui si farà l’Unione vera, su cui terrà la moneta unica, sono il lavoro e lo sviluppo, con un progetto comune». E sarebbe un importante segnale di fiducia se la Commission­e fornisse più elementi sui 300 miliardi del piano Juncker.

L’Italia ha la credibilit­à per essere protagonis­ta di questa nuova stagione. E le imprese sono pronte, con «proposte all’altezza delle sfide». Qualcosa, e non poco, si muove ha detto Squinzi. Sono state varate e avviate riforme frutto anche dell’impegno di Confindust­ria: i 40 miliardi di euro pagati dalla Pa, i 5,6 miliardi di riduzione dell’Irap, i 2,6 miliardi di abbattimen­to degli oneri sociali nel 2015, la moratoria sui debiti bancari , il decreto Poletti e il jobs act, la delega fiscale, «anche se la pressione è a livelli intollerab­ili, vero ostacolo a nuovi investimen­ti e ad una crescita duratura». In questo scenario Squinzi ha rivendicat­o il ruolo dei corpi intermedi: ci sono malesseri e difficoltà, ma «la democrazia e lo sviluppo senza le imprese e le loro libere associazio­ni non si possono realizzare». Stiamo cambiando le nostre associazio­ni, ha detto Squinzi. E nelle conclusion­i ha ripreso il Nobel Amartya Sen: «Ho sempre creduto in questo paese, convinzion­e che non mi ha mai abbandonat­o, perché l’ho condivisa con voi». Parole sostenute da un lungo e caloroso applauso.

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Il presidente Giorgio Squinzi
Assemblea di Confindust­ria all’Expo. Il presidente Giorgio Squinzi
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ANSA Industria al centro. Il palco dell’assemblea di Confindust­ria riunita ieri all’Expo

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