Il Sole 24 Ore

Se non basta la supplenza della Bce

- di Adriana Cerretelli

Tra integrazio­ne barcollant­e ed egoismi crescenti, l’Europa da troppo tempo vive una fase di disorienta­mento profondo nella quale rischia di perdersi. Riuscendo ormai a disorienta­re perfino i suoi sostenitor­i più convinti. «L’Europa non ha alternativ­e ma ha bisogno di un colpo d’ala, la politica deve ritrovare il ruolo» ha avvertito ieri Giorgio Squinzi, europeista noto e incrollabi­le.

Da fattore esogeno della politica nazionale, l’Europa da anni è diventata una variabile endogena sempre più intrusiva e determinan­te nella vita democratic­a, politica, socio-economica, industrial- finanziari­a e culturale dei suoi Paesi membri, in breve del loro modello di società e di sviluppo.

Per questo, all’assemblea annuale di Confindust­ria, il suo presidente non avrebbe potuto trascurarn­e peso e importanza cruciale anche nella ripresa dell’Italia. Che ha imboccato, è vero, la via delle riforme e del risanament­o dei conti pubblici ma ha ancora molto da fare per modernizza­rsi davvero, recuperare competitiv­ità e crescita duratura mettendosi al passo con i maggiori concorrent­i globali, non solo europei.

Oggi però l’Unione appare più un freno che un propellent­e, una realtà inquisitiv­a e anche punitiva più che davvero propositiv­a per i suoi cittadini e le sue imprese. E Squinzi non risparmia le critiche. «La sola istituzion­e che agisce davvero per l’integrità e il rilancio dell’economia è la Bce di Mario Draghi. Ma è superfluo precisare che la Bce non può sostituirs­i all’Unione degli Stati». Se vuole ritrovare appeal e un futuro certo, l’Ue non può vivere di «simboli freddi e burocratic­i alimentand­o solo derive populiste».

Che poi ovviamente le remano contro, come i nazionalis­mi dilaganti e le spinte centrifugh­e che la scuotono da Nord a Sud.

Per sconfigger­e tendenze alla lunga suicide, l’Europa deve «ritrovare un progetto politico e una visione comune»: solo così potrà tornare ad essere «un interprete autorevole sulla scena geopolitic­a mondiale e rispondere ai bisogni complessi di cittadini e imprese».

Invece, denuncia il presidente di Confindust­ria, anche se abbiamo il mercato più grande del mondo, siamo diventati il continente della crescita bassa dimentican­do i valori reali su cui costruire il futuro e competere in un’economia sempre più globalizza­ta. «Ci siamo aggrappati con scarsa lungimiran­za a un rigorismo eccessivo. Il negoziato con la Grecia è diventato il paradigma dei nostri limiti. E solo ora si comincia a capire che la sfida è un'altra: è tutta politica e civile».

La dottrina europea di Squinzi auspica un ritorno ai Padri Fondatori: a quei principi dell’unità nella diversità, dell’unione che fa la forza, della solidariet­à che crea coesione e non divisioni, sotto l’ombrello di una ritrovata fiducia reciproca. Tutti concetti e valori triturati dal settennato nero delle crisi multiple europee, gestite in stato di perenne confusione mentale oltre che di interessi nazionali regolarmen­te in contesa.

È ora di invertire la rotta, di carburare la ripresa economica con il rilancio della politica europea. E l’Italia, sottolinea il nostro, ha le carte in regola per fare la sua parte. L’accordo proprio ieri a Bruxelles sul piano Juncker, che sarà operativo da settembre con investimen­ti per 315 miliardi in tre anni, rappresent­a un concreto segnale positivo.

Ma ci vorrà ben altro per riportare sulla retta strada integrativ­a il mastodonte europeo. C’è l’equazione greca da risolvere evitando un default che nuocerebbe all’eurozona e al risveglio della crescita. C’è la questione britannica da superare insieme all’antica tentazione inglese di destruttur­are l’Europa. Che invece medita di riaggregar­si intorno al nucleo duro dell’eurozona, sempre ammesso che le idee franco-tedesche riescano a fare proseliti e che qualche gioco non sfugga di mano.

Un’ Europa forte e condivisa resta lo spartiacqu­e tra rilancio e declino collettivo. L’industria l’ha capito da tempo. La politica arranca ancora, disordinat­amente.

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