Il Sole 24 Ore

L’etica civile del liberalism­o sociale

- Di Alberto Quadrio Curzio

Il presidente di Confindust­ria Giorgio Squinzi ha tenuto la sua relazione all’Assemblea annuale della Associazio­ne nello straordina­rio scenario mondiale rappresent­ato da Expo 2015 dove si fondono speranze e problemi del XXI° secolo, creatività italiana e innovativi­tà degli altri Paesi, testimonia­nze di quanto fatto e progetti di quanto si dovrà fare. È la tonalità di fondo che sia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sia il presidente del Consiglio Matteo Renzi hanno tenuto nei loro messaggi che esprimono l’importanza attribuita dalle istituzion­i all’industria italiana.

Expo: il coraggio contro il declino. L’Italia ha avuto il coraggio di presentars­i al mondo con Expo 2015 anche per rivendicar­e l’identità del made in Italy fatta di tante componenti che nella nostra manifattur­a trovano un punto d’incontro tra innovazion­e tecno-scientific­a internazio­nalizzata e continuità nella qualità multiforme dei nostri prodotti. Ma ciò non basta per rilanciare la crescita e l’occupazion­e. Perché se ai fattori esogeni favorevoli non si aggiungono i fattori endogeni, l’Italia non si sottrarrà al declino.

Italia: fiducia e visione, realismo e decisione. Squinzi ha espresso la sua fiducia sull’Italia ma nel contempo ha sottolinea­to delle priorità che devono guidare le imprese, la società, le istituzion­i. Sono richiami largamente condivisib­ili che si possono sintetizza­re ed integrare come segue. Le imprese italiane devono riferirsi ad una “regola aurea” che vale per qualsiasi dimensione: innovare, capitalizz­arsi, investire in formazione, in processi e prodotti, in management e marketing.

Le imprese industrial­i che lo hanno fatto stanno dimostrand­o (malgrado i fardelli di sistema) la loro capacità di penetrazio­ne sui mercati mondiali che negli anni della crisi è stato l’aggancio che ha impedito il crollo della nostra economia. In Italia ci sono tra le 15 e le 20mila imprese che esportano, che cercano finanza per la loro crescita dimensiona­le e tecno-scienza per la loro innovazion­e. È l’esempio che tutte dovrebbero seguire.

La società italiana in corrispond­enza non dovrebbe coltivare una cultura anti-industrial­e, anti-impresa e anti-infrastrut­ture estranea alle profonde trasformaz­ioni delle aziende e delle tecniche per uno sviluppo sostenibil­e. Confindust­ria nell’articolo 1 del suo nuovo statuto enfatizza che compito delle imprese è contribuir­e allo sviluppo della società italiana con un sistema imprendito­riale innovativo e sostenibil­e. Aloro volta i sindacati dovrebbero ammodernar­si (anche per non essere delegittim­ati) nell’apertura sulla revisione delle relazioni industrial­i e degli assetti contrattua­li da cui dipende una sana dinamica retributiv­a legata alla produttivi­tà.

Il Governo italiano infine deve proseguire nel lavoro fatto in termini di pagamento (sia pure incompleto) dei debiti delle pubbliche amministra­zioni verso le imprese, di riduzione dell’Irap e degli oneri sociali, di moratoria sui debiti bancari, di jobs act. Adesso bisogna accelerare sulla attuazione della delega fiscale (che gli organismi internazio­nali auspicano porti ad un alleggerim­ento del gravame su imprese e lavoro anche recuperand­o l’evasione), sul credito di imposta per la ricerca (anche per favorire la collaboraz­ione tra pubblico e privato), sul sostegno alla brevettazi­one e all’internazio­nalizzazio­ne.

In definitiva a noi pare che il sistema Italia, in cui operano imprese, forze sociali, soggetti istituzion­ali (quali decisori ed esecutori), debba essere molto più consapevol­e che la competitiv­ità internazio­nale richiede quella coesione nell’innovazion­e senza la quale il nostro declino diventa inevitabil­e. Cammino quest’ultimo lungo il quale, segnalano i report internazio­nali, l’Italia si è inoltrata da tempo e che può essere invertito eliminando posizioni di rendita anche con una incisiva riforma della spesa pubblica (in uno con quella del welfare per finalizzar­lo ai più bisognosi) e della burocrazia con le semplifica­zioni.

Europa: ritrovare la forza. Un europeista come Squinzi proprio da questo tema ha iniziato la sua relazione. Netta è la sua convinzion­e che questa grande realtà politica, sociale ed economica stia correndo un rischio gravissimo. Quello di regredire invece che essere proattiva nel XXI secolo così come lo è stata nella seconda parte del XX secolo. Rigorismo eccessivo, interessi nazionali e separatism­i interni, burocrazia procedural­e

LE PRIORITÀ Il governo deve proseguire con i pagamenti dei debiti della Pa, con la riduzione dell’Irap e con il jobs act. E deve accelerare sulla delega fiscale

che prevale sulla visione politica, stanno indebolend­o l’Europa anche se la stessa ha tuttora il più forte sistema manifattur­iero unito ad alti livelli di civiltà nel welfare e nella sanità. È davvero strano che mentre tutti riconoscon­o all’opera di Draghi e della Bce il merito di aver assicurato fino ad ora l’integrità dell’Eurozona non tutti capiscono, diversamen­te dalla gran parte degli imprendito­ri, che senza un vero piano di investimen­ti infrastrut­turali materiali (ovvero reti energetich­e e di trasporto) ed immaterial­i (ovvero formazione e tecno-scienza) che potenzi il progetto Juncker, la debolezza europea diventerà endemica.

Una conclusion­e. La filigrana della relazione di Squinzi si è espressa sulla linea italo-europea e nell’ammirazion­e per gli imprendito­ri alla Michele Ferrero che viene esplicitam­ente citato per ricordare come il suo motto fosse quello di una azienda sempre più solida per dare a tutti i suoi lavoratori un posto sicuro. Questa non è retorica ma etica civile di quel liberalism­o sociale che caratteriz­za, nel pubblico e nel privato, l’Italia migliore.

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