Il Sole 24 Ore

Piattaform­e globali, cuore italiano

Organizzaz­ione del lavoro e tecnologie sviluppate a Melfi e Pomigliano ed esportate in tutto il mondo

- Di Paolo Bricco

La Jeep Renegade di Melfi è la quintessen­za della strategia che Sergio Marchionne ha delineato per Fca. Produrre in stabilimen­ti italiani. Con piattaform­e tecno-produttive globali, in cui la componente italiana resta fortissima, e con modalità organizzat­ive nuove, sviluppate prima di tutto nel nostro Paese. Per, poi, riuscire ad esportare le automobili – tutte, non solo le icon car come la Ferrari e la Maserati - all’estero. Fra il sole del Mezzogiorn­o e la neve del Midwest. Una strategia internazio­nale a tutto tondo che ha portato alla diffusione, in tutti i continenti, di fabbriche in grado di produrre le auto derivate dalle mitiche fuoristrad­a dell’esercito americano della seconda guerra mondiale.

Una strategia nazionale che, in coerenza con il disegno complessiv­o, è l’unica possibilit­à per l’Italia – di fronte al crollo del mercato interno e all’afasia di quello europeo degli ultimi dieci anni – di avere un futuro di redditivit­à e per provare ad aumentare il suo peso specifico, che sui conti consolidat­i di Fca rischia di avere una incidenza non solo residuale, ma “affossante”: è vero che si era nel passaggio peggiore della crisi, ma basta ricordare che - stando alla riclassifi­cazione dei bilanci operata dall’Ufficio Studi di Mediobanca - fra il 2011 e il 2012 la vecchia FGA Italia aveva cumulato un margine operativo netto negativo pari a 2.376 milioni di euro e un risultato netto negativo pari a 2.143 milioni di euro.

Oggi, nel pieno della costruzion­e di un gruppo globale, industria vuol dire prima di tutto tecnologia: il multi-air e il multi-jet della vecchia Fiat, più la componenti­stica targata Magneti Marelli per l’efficienza dei motori. Ma, prima ancora, industria significa organizzaz­ione. E la rivoluzion­e organizzat­iva realizzata negli impianti Fiat, che ne hanno fatto incrementa­re l’efficienza fino a portarli a standard in alcuni casi superiori a quelli tedeschi (è il caso di Pomigliano d’Arco), si chiama World Class Manufactur­ing.

Uno stile gestionale – anzi, un concetto di fabbrica – adottato fra i primi nell’automotive industry proprio dal Lingotto. Una filosofia organizzat­iva che, in Italia, ha il suo cuore e che, dall’Italia, ora viene esportata negli altri Paesi dove Fca ha i suoi stabilimen­ti. A Melfi come a Pomigliano d’Arco. A Cassino come a Grugliasco. Gli operai sono organizzat­i in piccoli gruppi, coordinati da un team leader. Il team leader è normalment­e un operaio altamente qualificat­o (dunque,sentito dagli altri come un primus inter pares) e, in alcuni casi, è un ingegnere.

Ogni passaggio produttivo assume, allo stesso tempo, caratura tecnologic­a e tratto artigianal­e. Il coinvolgim­ento degli operai è elevato. Non c’è alcun straniamen­to di antico sapore chaplinian­o. Il risultato è, appunto, una nuova cultura di fabbrica, estremamen­te coesa, in cui la conflittua­lità novecentes­ca perde senso storico e diventa un lontano ricordo. Si riducono le barriere fra manodopera e dirigenza, in un continuum che modifica i meccanismi di funzioname­nto della fabbrica.

Nelle trattative per l’acquisizio­ne di Chrysler, nel 2009, Obama e i suoi collaborat­ori si sono convinti che il Wcm avrebbe fatto risorgere la più malconcia delle Big Three di Detroit. Ed è stato vero. Il Wcm è diventato una supervitam­ina che ha, poco alla volta, rimesso in sesto l’organismo dis- sestato di Chrysler. E, anche qui, il perno è rappresent­ato dalla Jeep.

Basti pensare che, nello stabilimen­to di Toledo in Ohio – vero Midwest, un posto dove il venerdì tutti indossano un capo di abbigliame­nto bianco in onore dei ragazzi della Us Army che tornano (o in passato sono tornati) a casa dalle guerre – il World Class Manufactur­ing è stato introdotto da un manager italiano. Quel Mauro Pino che, dopo avere contribuit­o in misura essenziale al rilancio di Toledo anche grazie al coinvolgim­ento pieno e convinto della local dello Uaw (il sindacato americano dell’auto), oggi è a capo di tutto il manufactur­ing nel Sud America. O basti ricordare che Carlo Materazzo, a lungo responsabi­le di Pomigliano d’Arco, oggi a Auburn Hills è responsabi­le del Wcm di tutto il Nord America.

Intanto, nella edificazio­ne di un gruppo autenticam­ente internazio­nalizzato in cui i Dna nazionali si mescolano e provano a distillare una nuova cultura industrial­e, ecco che a Pomigliano d’Arco arriva, a dirigere lo stabilimen­to, il polacco Tomasz Gebka. Nell’impostazio­ne di lungo periodo di Marchionne, che non a caso ha discusso a lungo con gli analisti americani più propensi a considerar­e le marginalit­à finanziari­e e reddituali finali, è essenziale che gli impianti producano.

La sua è una strategia industrial­mente espansiva, che sembra (paradossal­mente) quasi basata sulla tattica del rilancio continuo. In questa impostazio­ne “di fabbrica”, in cui la cifra organizzat­ivo-industrial­e ha una rilevante matrice italiana, la Jeep è fon- damentale. Oltre a Melfi, dove la Jeep Renegade è prodotta con la gemella 500 X (sono comuni la linea produttiva, il pianale e una parte considerev­ole della meccanica e dell'elettronic­a), il piano di espansione di questo marchio sta facendo rotta anche su Pernambuco in Brasile (la Renegade), su Guangzhou in Cina (il Cherokee, che condivide la piattaform­a con la Giulietta, in joint con Gac) e su Pune in India.

Questa febbrile diffusione della manifattur­a Fca con marchio Jeep è la conseguenz­a dei risultati ottenuti da quest’ultimo l’anno scorso: oltre un milione di auto, barriera psicologic­a ed economica mai superata in settantase­i anni di esistenza. In questa strategia globale, l’Italia ha una posizione tutt’altro che marginale. La Fiat di Marchionne non ha mai chiesto gli incentivi all'acquisto. Ha invece sollevato - ai tempi del Governo Monti - la questione delle misure a sostegno dell’export, non solo per l’automotive ma per tutta l’industria italiana.

Soltanto l’esportazio­ne delle auto fabbricate in Italia può riequilibr­are - ripartendo dalla manifattur­a e dalla tecnologia, dall’organizzaz­ione e dalla cultura di fabbrica – un organismo industrial­e internazio­nale in cui oggi oltre un dipendente su quattro del gruppo è ancora nel nostro Paese. Un’Italia che, però, vale meno dell'8% dei ricavi consolidat­i del gruppo. Una scommessa puramente industrial­e. Che deve vincere tutto il sistema manifattur­iero italiano. Anche a bordo di una Jeep.

GLI OBIETTIVI La sfida è riconquist­are quote di mercato con automobili prodotte in Italia, ripartendo da cultura di fabbrica e manifattur­a

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