Il Sole 24 Ore

Senza veti Pmi pronte a crescere

«Avanguardi­a di 15-20mila Pmi innovative frenata dai veti e dagli ostacoli normativi»

- Carmine Fotina

«Tra 15 e 20 mila Pmi che esportano e fanno innovazion­e, in grado di trasformar­si nelle nuove multinazio­nali tascabili» .Èl’ avanguardi­a delle imprese frenata dai veti della cultura anti-industrial­e che, dagli imbullo nati agliecorea­ti, sembra diffonders­i.

pChi innova ed esporta cresce di più ed esce prima dalla crisi. Lo ha detto con chiarezza pochi giorni fa il governator­e di Banca d’Italia e il cambiament­o delle imprese italiane in atto negli ultimi anni, rileva il presidente di Confindust­ria Giorgio Squinzi nella sua relazione, ne è la testimonia­nza più solare. Perché c’è un’avanguardi­a sempre più folta di piccole e medie imprese, «tra le 15 e le 20mila, che si sta cambiando l’abito in corsa», anche se nel suo processo di conversion­e e maturazion­e rischia di inciampare troppo spesso nei veti di una «cultura anti-industrial­e ben radicata», nelle complicazi­oni inattese di una «manina anti-impresa» che talvolta si insinua nelle pieghe dei provvedime­nti.

C’è una fascia imprendito­riale, ampia, che sta cogliendo le sfide dell’export e dell’innovazion­e, che «cerca finanza per la crescita industrial­e, integra l’informatio­n technology nei prodotti, assume talenti e parla le lingue del business globale». È la chiave italiana per svoltare, sintetizza Squinzi, se non fosse per gli ostacoli che anche con l’ultimo governo si sono concretizz­ati lungo il cammino. Gli esempi citati sono diversi: «Reati ambientali, nuovo falso in bilancio, canone sugli imbullonat­i, Tasi sull’invenduto», oltre a nuove autorizzaz­ioni di varia natura. Per ogni caso una battaglia portata avanti dagli industrial­i. Sui reati ambientali rimangono forti perplessit­à relative ai tempi delle bonifiche per conseguire il cosiddetto ravvedimen­to operoso. Il nuovo falso in bilancio rischia di lasciare margini di incertezza paralizzan­ti su che cosa può essere configurat­o come reato, con un basso grado di tassa- tività e ampi spazi di discrezion­alità e interpreta­zione lasciati ai giudici. Sul caso “imbullonat­i”, un’odiosa forma di patrimonia­le sui macchinari, le soluzioni governativ­e finora fatte trapelare, e destinate a entrare nel decreto attuativo sulla riforma del catasto,potrebbero rivelarsi solo un palliativo. Esempi di una dialettica troppo spesso farraginos­a tra imprese ed esecutivo. E le complicazi­oni normative - lamentano gli industrial­i - assurgono di conseguenz­a al precipitat­o fattuale di una cultura anti imprendito­riale. «La lingua criptica dei provvedime­nti legislativ­i o amministra­tivi» si tra- duce in diverse occasioni in provvedime­nti di attuazione peggiorati­vi rispetto alla norma primaria da cui derivano. E alla stratifica­zione di «migliaia di norme» può unirsi, in una sorta di miscela esplosiva, la sindrome “nimby”, la costituzio­ne di un «comitato contrario all’annuncio di un qualsiasi progetto, che si tratti di un investimen­to privato o pubblico». Un problema di cultura e comportame­nti collettivi, è la lettura che ne dà Squinzi, tanto più controprod­ucente se rapportato all’eccellenza che nel campo industrial­e l’Italia è in grado di esprimere.

C’è una storia alle spalle. Squinzi ricorda «la prima vera grande fabbrica al mondo fatta da noi, a Venezia, centinaia di anni in anticipo sulla prima rivoluzion­e industrial­e, fondando nel 1104 l’Arsenale che all’apice della sua attività produceva una nave al giorno». Di strada se n’è fatta fino a posizionar­ci come seconda potenza manifattur­iera europea, in grado di intercetta­re le nuove tendenze industrial­i. È dalle Pmi più innovative, prosegue Squinzi, quelle che fanno alleanze globali e si specializz­ano nel proprio business, «che devono nascere le nuove multinazio­nali tascabili e i grandi campioni industrial­i dei prossimi decenni». Gli imprendito­ri, assicura il presidente di Confindust­ria, sanno che innovare di più è «la regola aurea» e si stan- no attrezzand­o per il cambiament­o. Ma serve un contesto diverso, «un abito su misura fatto di credito e finanza, ulteriore sostegno sui mercati esteri,di ricerca e innovazion­e, con un fondo speciale a loro dedicato».

Nel dettaglio, nelle aree citate, gli imprendito­ri soppesano un mix di norme attuate, progetti incompiuti, provvedime­nti fermi nel cassetto. Sulla ricerca ieri il ministro Guidi ha finalmente annunciato lo sblocco del credito d’imposta sugli investimen­ti. Ma bisogna ancora attendere per il patent box. Sul credito, i benefici maggiori sono arrivati dalla moratoria pattuita con l’Abi che è valsa finora “ossigeno” per 14,6 miliardi. Sull’eterna questione dei debiti commercial­i della Pa, le imprese hanno apprezzato «il pagamento di 40 miliardi di soldi nostri», ma il meccanismo congegnato dal governo non è ancora a regime e, a leggere gli ultimi dati di Bankitalia, l’accumulo di nuovi arretrati rischia di vanificare i progressi fatti sui dati storici.

E in linea più generale, l’attesa è per un radicale cambio di passo nelle politiche industrial­i seguendo esempi che si stanno consolidan­do. «Dagli Stati Uniti alla Cina e alla Germania, dal Giappone alla Francia, dalla Spagna alla Corea del Sud, la politica industrial­e è tornata al centro dell’agenda dei governi».

IL CAMBIO DI PASSO «Un’ampia fetta di aziende si sta cambiando l’abito in corsa con export e ricerca ma restano troppe manine anti-impresa»

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