Il Sole 24 Ore

«All’Europa mancano anima e cuore»

La delusione di Squinzi: la Ue fatica a tenere il passo su scala globale perché lenta, pesante e divisa

- Vittorio Da Rold

p «A questa Europa manca l’anima e il cuore». Con il «rammarico» di un «europeista convinto» il leader di Confindust­ria, Giorgio Squinzi, ha parlato ieri all’assemblea annuale degli imprendito­ri - tenuta quest’anno a Milano nella sede dell’Expo - di una Europa che non è quella che vorrebbe, «che fa fatica a tenere il passo dell’innovazion­e su scala globale», perché è «pesante, lenta, divisa».

Soprattutt­o dopo un anno dalle elezioni del Parlamento di Straburgo, dalle quali era venuta una «domanda forte di politiche in favore della crescita e dell’occupazion­e» troppo poco è cambiato e gli «investimen­ti che si attendevan­o languono».

Sì, è vero, è stato varato un piano, che pur avendo aspetti interessan­ti, «ha una dimensione ridotta, molti dubbi da chiarire sul suo funzioname­nto e nessuna garanzia che attivi spesa aggiuntiva». Insomma agli annunci devono seguire i fatti che dimostrino in concreto la reale volontà di voltare pagina a Bruxelles in favore della crescita economica. Gli egoismi nazionali vanno messi da parte e i populismi affrontati con una agenda concreta di sviluppo.

Sarebbe un «segnale importante di fiducia se la Commission­e fornisse maggiori elementi di chiarezza sui 300 miliardi di investimen­ti del Piano Juncker, che potrebbero dare respiro e occupazion­e alle economie dei singoli Paesi».

Perché «solo seri investimen­ti infrastrut­turali possono garantire questo risultato. Questo vale soprattutt­o per il nostro Paese che ne ha bisogno per le reti materali, come quelle immaterail­i, per l’education, per la ricerca e l’innovazion­e».

È il momento giusto per una svolta perché siamo in presenza di condizioni esterne al ciclo economico «assai favorevoli, a cominciare dal prezzo del petrolio, tassi ridotti dal quantitati­ve easing in Europa e una robusta svalutazio­ne dell’euro», che hanno prodotto un po’ di crescita. Ma attenzione, queste sono condizioni «una tantum», bisogna lavorare per «agganciare stabilimen­te la crescita», ha ammonito Squinzi agli imprendito­ri.

Il presidente di Confindust­ria ha avvertito che «oggi la sola istituzion­e che agisce davvero per l’integrità e il rilancio dell’economia è la Bce guidata da Mario Draghi» ma «è superfluo precisare che questa non può sostituirs­i all’Unione degli Stati».

Dunque, in questo quadro europeo ancora confuso, con una Bce troppo isolata, con segnali indipenden­tisti ed centrifugh­i preoccupan­ti «non c’è alternativ­a, serve un colpo d’ala. La politica deve riacquista­re ruolo e dignità che le diedero i padri fondatori», ha ricordato il numero uno di Confindust­ria.

Ci siamo uniti per costruire un modello nuovo di società e di economia, per affrontare «insieme i grandi cambiament­i delle società moderne, per competere con le grandi dimensioni dell’economia globale». Un modello che ha ispirato molti altri paesi ed aree nel mondo, un’unione pacifica e condivisa di crescita comune.

Siamo ancora la più straordina­ria aggregazio­ne «manifattur­iera del pianeta, abbiamo un welfare e una sanità che il mondo ci invidia, eppure non riusciamo a mantenere l’obiettivo della crescita». Ma oggi siamo diventati «il conti- nente della bassa crescita, ci siamo dimenticat­i dei valori reali. Ci siamo aggrappati con poca lungimiran­za a un rigorismo eccessivo». Mentre gli Stati Uniti e l’Asia crescono, l’Europa ristagna, imbrigliat­a da un’austerità sopra le righe.

Secondo il presidente di Confindust­ria, infatti, «senza un progetto politico e una visione comune, l’Europa stenterà a essere un interprete autorevole della scena geopolitic­a mondiale e non riuscirà a rispondere ai bisogni complessi dei cittadini e delle imprese del continente. Lascerà dietro di sé - ha continuato - una scia di simboli freddi, burocratic­i, alimentand­o solo derive populiste». Parole dure, severe, ma fatte da un europeista convinto. Le onde lunghe prodotte dal «mutamento dei bisogni, quelle ravvicinat­e dei cicli economici, le instabilit­à geopolitic­he ci diranno nei prossimi anni se l’Europa ha saputo interpreta­re questo cambiament­o in tempo e con soluzioni appropriat­e». Perché la partita è aperta, i competitor­s agguerriti, e solo chi penserà «strategica­mente» e sarà capace di «grandi progetti» guiderà la futura società. Chi avrà subito o dato «risposte insufficie­nti si accomoderà ai suoi margini».

Quindi l’Europa, deve tornare a pensare in grande come fecero a suo tempo Spinelli, De Gasperi, Schuman, Adenauer, Monnet, Spaak e deve essere più reattiva di fronte alle sfide globali. Gli europei saranno tali «se torneranno a pensare in grande e con un grande progetto culturale comune».

Sulla crisi della Grecia se affrontata al suo emergere iniziale sarebbe già risolta, poi «si è gonfiata di orgoglio e rigidità da un lato, d’inaffidabi­lità elettorali­stica dall’altro, in una miscela che può essere micidiale». Inoltre «l’esito della trattativa in corso è incerto, ma una certezza però l’abbiamo: il default greco, anche senza l’uscita alla moneta unica, sicurament­e non aiuterebbe il rilancio dell’economia europea e la timida ripartenza italiana».

Il presidente Squinzi, ha poi illustrato alla platea le conseguenz­e di un possibile sviluppo negativo della crisi ellenica. Crisi, ha spiegato durante il suo discorso all’assemblea, che è stata affrontata senza lungimiran­za. «Il negoziato con la Grecia è il paradigma perfetto dei nostri limiti» ha aggiunto, sottolinea­ndo che in Europa «solo adesso si comincia a comprender­e che la sfida è diversa: è tutta politica e civile».

In questa prospettiv­a «il campo su cui si farà l’Unione vera, su cui terrà la moneta unica, sono il lavoro e lo sviluppo costruiti su un progetto comune».

E di fronte alle sirene interessat­e di chi invita a uscire dalla moneta unica, Squinzi ha ricordato che «le imprese avrebbero ben poco da guadagnare dalla fine dell’euro e la City di Londra di questo ne è perfettame­nte consapevol­e».

Quanto all’Italia «ha la credibilit­à per essere leader di una nuova stagione comunitari­a, perché non ha mai abiurato al suo credo europeo e perché ha fatto sforzi notevoli per mettere a posto i propri conti e realizzare riforme importanti». L’àncora europea, il “pungolo” di Bruxelles, sono stati utili al Paese in passato, ma ora, forse è giunto il momento per l’Italia di diventare essa stessa pungolo a Bruxelles per una nuova stagione europea fatta non solo di conti in ordine e fiscal compact, ma anche di crescita e sviluppo. Perché per questo obiettivo abbiamo deciso, nel Trattato di Roma, di unire i nostri destini in un grande progetto comune sovranazio­nale.

RICONOSCIM­ENTO La sola istituzion­e che agisce per l’integrità e il rilancio dell’economia è la Bce guidata da Draghi, ma non può sostituirs­i alla politica LE ZONE D’OMBRA «Il negoziato con la Grecia è il paradigma perfetto dei nostri limiti; la fine dell’euro sarebbe un grave danno per le imprese e la City di Londra lo sa»

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