Politiche Ue, le ambiguità che frenano le imprese
Ha ragione il viceministro Carlo Calenda nel sottolineare il paradosso di una Unione europea che predica per sostenere una ripresa ancora gracile e la crescita dell’economia, ma poi all’atto pratico fa poco o nulla per aiutare settori importati del manifatturiero industriale. Il caso ormai annoso del “made in” ne è la testimonianza evidente. Lo stallo con cui si è concluso ieri a Bruxelles il Consiglio Competitività rappresenta quel volto di Europa che non ci piace e che ancora meno risulta comprensibile alla maggioranza delle imprese e dei cittadini. E bene fa la delegazione italiana, attorno alla quale siè coagulato il sostegno di altri Paesi, a mantenere la linea al tavolo negoziale. Perché non solo l’Italia e le sue aziende hanno da guadagnare dalla normativa del “made in”, ma tutti i consumatori del mercato europeo. Riduttiva la proposta lettone di applicare la normativa solo alle calzature e a una parte del settore ceramico. A fronte della richiesta dei Paesi sostenitori (Italia, Francia, Spagna in primis) di estendere il “made in” anche a arredo, gioielleria e tessile/abbigliamento. In questa situazione di muro contro muro non va dimenticata l’ombra che si muove sullo scenario internazionale della trattativa Ttip, il trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, dove tra i tanti dossier difficili, c’è quello relativo al riconoscimento delle provenienze geografiche, cioè le “norme di origine”. Se l’Europa non è in grado – dopo una decina di anni – di trovare una via intelligente per certificare e anche tutelare le proprie produzioni in base all’origine, difficilmente riuscirà a farlo con efficacia al tavolo negoziale con gli Stati Uniti. A cominciare dall’alimentare, i confronti europei in tema di origine e etichetta non sono mai stati facili. Anzi: spesso le contrapposizioni tra Nord e Sud Europa hanno allungato i calendari delle decisioni e – in alcuni casi – sono intervenute vere e proprie emergenze (vedi Bse) per indurre al buon senso. Adesso non si comprende perchè un cittadino europeo può sapere da dove arriva la bistecca che mette nel piatto, ma non le scarpe che porta ai piedi. Anche per questo l’Europa risulta sempre più incomprensibile ai sui abitanti.