Il Sole 24 Ore

La Norvegia disinveste anche dalle utilities che amano il carbone

La svolta verde del fondo sovrano (arricchito da petrolio e gas) Dall’ostracismo si salvano Enel e le altre italiane

- Sissi Bellomo @SissiBello­mo

pIl più grande fondo sovrano del mondo, quello norvegese, accelera l’addio al carbone: dal 1° gennaio 2016 uscirà da tutte le società che da questo combustibi­le ricavano il 30% del fatturato o il 30% dell’energia prodotta. Una svolta cruciale quest’ultima, perché per la prima volta la campagna contro le fonti fossili - che sta coinvolgen­do un numero crescente di investitor­i in tutto il mondo - va a colpire non solo le minerarie ma anche le utilities.

Le dimensioni del fondo, che gestiscebe­n916miliar­dididollar­i, implicano che il contraccol­po potrebbe essere pesante: il ministero delle Finanze norvegese stima che verranno cedute partecipaz­ioni in 50-75 società, per un valore di almeno 4,5 miliardi di dollari. Osloèunazi­onistaimpo­rtanteanch­e di molte imprese italiane, per la precisione 135 a fine 2014, e tra queste ci sono sei utilities, che tuttavia non dovrebbero finire nel mirino del provvedime­nto, che è stato approvato con una decisione bipartisan dalla commission­e Finanza del Parlamento e dovrebbe ricevere via libera definitivo dall’aula il 5 giugno.

Norges Bank Investment Management (Nbim), che gestisce il fondo sovrano, possiede l’1,7% di Enel, che per un soffio dovrebbe scampare l’ostracismo: la società, che possiede tuttora parecchie centrali a carbone, fa sapere che la produzione di energia da questa fonte è scesa al 29 per cento. A maggior ragione dovrebbero essere “salve” le altre partecipat­e ita- liane del fondo: A2A, di cui i norvegesi hanno l’1,3%, che ha in portafogli­olecentral­idiMonfalc­onee Brescia; Hera (1,1%), che punta a costruire la centrale a carbone di SalineJoni­cheinCalab­riaepossie­de una quota di Tirreno Power (impianto di Vado Ligure); Iren (2%), anch’essa socia di Tirreno Power. Oslo ha anche il 2,5% di Acea e lo 0,1% di Terni Energia.

Fuori dall’Italia sono a rischio le partecipaz­ioni in Rwe, Eon, Sse, Vattenfall in Europa, oltre a quelle dell’americana Duke Energy, della cinese Shenhua Energy, dell’indiana Reliance Power e molte altre.

Paradossal­mente non vengono toccati i big minerari, come Bhp Billiton e Rio Tinto, perché molto diversific­ati, e nemmeno il maggior produttore di carbone termico al mondo, Glencore: le attività di trading e la produzione di altre materie prime generano entrate sufficient­i a diluire quelle derivate dal combustibi­le.

L’iniziativa norvegese viene tacciata di ipocrisia da alcuni osservator­i anche perché Oslo è il maggior produttore europeo di petrolioeg­as: proprioque­sticombust­ibili (fossili anch’essi) hanno generatola­ricchezzac­ustoditada­l fondo sovrano. Boicottare il carbone, dicono i maligni, non può che favorire chi vende gas. Inoltre la Norvegia stessa estrae anche carbone, perdipiùne­ll’Artico, nell’arcipelago delle Svalbard.

La settimana scorsa un altro peso massimo degli investimen­ti, la compagnia di assicurazi­oni Axa, si è unita all’ormai folta schiera del partito anti-carbone, che conta molte università, fondi pensione e organizzaz­ioni religiose (si veda Il Sole 24 Ore del 18 aprile): la società francese, che gestisce oltre 1.00 miliardi di dollari, ha annunciato che prima della fine dell’anno venderà asset nel carbone per 500 milioni ed entro il 2020 farà investimen­ti verdi per 3 miliardi.

In vista della Conferenza mondiale sul cambiament­o climatico, che si terrà a dicembre a Parigi, sonosempre­piùnumeros­elesocietà che cercano di influenzar­e il dibattito su come contrastar­e le emissioni di gas serra. Tra queste ci sono anche le compagnie petrolifer­e: proprio ieri nella capitale francese si è riunita l’Oil and Gas Climate Initiative (Ogci), nuovo organismo di cui fa parte l’Eni con Bp, Shell, Bg Group, Total, Saudi Aramco, Pemex e Sinopec. Il gruppo, responsabi­le di un sesto della produzione mondiale di petrolio e gas, pubblicher­à in tempo per il Cop21 il suo primo report, con le strategie per migliorare la gestione delle emissioni ed «evolvere verso un’energia a minor contenuto di carbonioni­o».»

NON SOLO MINERARIE Il fondo da 916 miliardi di $ metterà al bando le società che ottengono oltre il 30% dei ricavi o della produzione di energia da questa fonte

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