Il Sole 24 Ore

Il diritto al canone non spetti più solo alla Rai

La proposta. Concession­e Rai in scadenza

- Di Giovanni Minoli

Per riottenerl­o “in esclusiva” la Rai dovrà firmare una nuova concession­e con lo Stato. E le concession­i, lo sanno bene le Autostrade, vanno conquistat­e. Perché tutto il ca- none dovrebbe ritornare alla Rai? È una domanda che si è posto anche il presidente del consiglio Matteo Renzi nell’elaborare la sua proposta di riforma del servizio pubblico, immaginand­o varie soluzioni, alcune esplicitat­e altre non ancora.

Mostrando però una certa insofferen­za verso la “tassa più odiata dagli italiani”. È difficile oggi nell’era multimedia­le e multipiatt­aforma capire e soprattutt­o spiegare cosa si paghi, quando si paga il canone tv. Renzi ha anche immaginato che nel caso in cui la sua riforma passasse, il tema potrebbe riguardare il nuovo Cda e il nuovo capo azienda. Più che il governo e le sue direttive. Ipotesi poco chiara ma che testimonia la complessit­à del tema.

Ma al di là di chi deve fare cosa è lecito chiedersi perché per esempio il Tg1 meriti il canone e invece il Tg7 di Mentana no. Perché lo meritino le interviste di Lucia Annunziata e non quelle della Gruber. Perché il canone valga per il varietà di Carlo Conti e non per quello di Crozza. Si potrebbe continuare a lungo, perché la Rai e il suo top management non hanno mai spiegato chiarament­e cosa sia e dove si possa vedere con certezza il valore del miliardo e 600 milioni di euro incassati dalla Rai per il canone.

Un bilancio differenzi­ato tra entrate da canone e quelle da pubblicità c’è, ma non è così chiaro. Per esempio: quanti dei dodicimila dipendenti della Rai sono “direttamen­te” impegnati a produrre programmi del canone e quanti no? Non si sa e nessuno lo dice.

In passato si era pensato, per rendere trasparent­e il rapporto tra i cittadini e la Rai, di applicare un “bollino” come quelli di qualità sui prodotti per indicare con certezza al telespetta­tore cosa era pagato dai soldi del canone e cosa no. Non se ne è fatto nulla, però, adesso che la concession­e sca- de e va rinnovata, il problema potrebbe riproporsi. Come? Riflettend­o più a fondo sulla progettual­ità e sui contenuti che il canone deve contenere e garantire ai cittadini, alle famiglie e alla scuola.

A Cannes la star numero uno non erano gli attori, le attrici o i registi ma Reed Hastings, il ceo di Netflix, che in America ha rivoluzion­ato il modo di produrre, distribuir­e e consumare la television­e. Una rivoluzion­e che arriverà presto in Italia insieme a tutte quelle che riguardano le operazioni che vedono e vedranno intrecciar­si gli operatori di telefonia, i network tradiziona­li di tv e la pay tv. Garantito in bolletta o in qualunque altra forma, cosa c’entra in questo quadro il canone? C’entra perché in questo mondo che vive sempre di più di gare e di progetti, potrebbe essere messo all’asta: su progetto.

Volendone attribuire una parte anche significat­iva e maggiorita­ria alla Rai, perché non renderne disponibil­e una quota (per esempio quella recuperata dall’evasione) per le altre tv generalist­e, le pay, le television­i locali e la web tv? Capaci di produrre proposte specifiche e qualifican­ti, anche educationa­l, su temi eventi o progetti di grande rilievo e di interesse generale.

Potrebbe essere uno stimolo per migliorare in molti segmenti l’offerta complessiv­a del sistema televisivo, mettendo pubblico e privato in competizio­ne sulla qualità dell’offerta (non solo degli eventi), riqualific­ando così la “tassa più odiata dagli italiani”, firmando un patto di qualità nell’interesse dei telespetta­tori cittadini e non solo dei telespetta­tori consumator­i. È un’idea, parliamone.

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