Il diritto al canone non spetti più solo alla Rai
La proposta. Concessione Rai in scadenza
Per riottenerlo “in esclusiva” la Rai dovrà firmare una nuova concessione con lo Stato. E le concessioni, lo sanno bene le Autostrade, vanno conquistate. Perché tutto il ca- none dovrebbe ritornare alla Rai? È una domanda che si è posto anche il presidente del consiglio Matteo Renzi nell’elaborare la sua proposta di riforma del servizio pubblico, immaginando varie soluzioni, alcune esplicitate altre non ancora.
Mostrando però una certa insofferenza verso la “tassa più odiata dagli italiani”. È difficile oggi nell’era multimediale e multipiattaforma capire e soprattutto spiegare cosa si paghi, quando si paga il canone tv. Renzi ha anche immaginato che nel caso in cui la sua riforma passasse, il tema potrebbe riguardare il nuovo Cda e il nuovo capo azienda. Più che il governo e le sue direttive. Ipotesi poco chiara ma che testimonia la complessità del tema.
Ma al di là di chi deve fare cosa è lecito chiedersi perché per esempio il Tg1 meriti il canone e invece il Tg7 di Mentana no. Perché lo meritino le interviste di Lucia Annunziata e non quelle della Gruber. Perché il canone valga per il varietà di Carlo Conti e non per quello di Crozza. Si potrebbe continuare a lungo, perché la Rai e il suo top management non hanno mai spiegato chiaramente cosa sia e dove si possa vedere con certezza il valore del miliardo e 600 milioni di euro incassati dalla Rai per il canone.
Un bilancio differenziato tra entrate da canone e quelle da pubblicità c’è, ma non è così chiaro. Per esempio: quanti dei dodicimila dipendenti della Rai sono “direttamente” impegnati a produrre programmi del canone e quanti no? Non si sa e nessuno lo dice.
In passato si era pensato, per rendere trasparente il rapporto tra i cittadini e la Rai, di applicare un “bollino” come quelli di qualità sui prodotti per indicare con certezza al telespettatore cosa era pagato dai soldi del canone e cosa no. Non se ne è fatto nulla, però, adesso che la concessione sca- de e va rinnovata, il problema potrebbe riproporsi. Come? Riflettendo più a fondo sulla progettualità e sui contenuti che il canone deve contenere e garantire ai cittadini, alle famiglie e alla scuola.
A Cannes la star numero uno non erano gli attori, le attrici o i registi ma Reed Hastings, il ceo di Netflix, che in America ha rivoluzionato il modo di produrre, distribuire e consumare la televisione. Una rivoluzione che arriverà presto in Italia insieme a tutte quelle che riguardano le operazioni che vedono e vedranno intrecciarsi gli operatori di telefonia, i network tradizionali di tv e la pay tv. Garantito in bolletta o in qualunque altra forma, cosa c’entra in questo quadro il canone? C’entra perché in questo mondo che vive sempre di più di gare e di progetti, potrebbe essere messo all’asta: su progetto.
Volendone attribuire una parte anche significativa e maggioritaria alla Rai, perché non renderne disponibile una quota (per esempio quella recuperata dall’evasione) per le altre tv generaliste, le pay, le televisioni locali e la web tv? Capaci di produrre proposte specifiche e qualificanti, anche educational, su temi eventi o progetti di grande rilievo e di interesse generale.
Potrebbe essere uno stimolo per migliorare in molti segmenti l’offerta complessiva del sistema televisivo, mettendo pubblico e privato in competizione sulla qualità dell’offerta (non solo degli eventi), riqualificando così la “tassa più odiata dagli italiani”, firmando un patto di qualità nell’interesse dei telespettatori cittadini e non solo dei telespettatori consumatori. È un’idea, parliamone.