Cucinelli, la spinta arriva dall’export: più ricavi in Europa e Nord America
In Cina il gruppo del cashmere punta a investimenti mirati Ricavi esteri: in 5 anni il peso è aumentato dal 63% all’80%
L’analisi di lungo periodo. Un modo per meglio comprendere l’andamento di un’azienda. Così è anche nel caso di Brunello Cucinelli, società attiva nella produzione di abbigliamento di lusso in cashmere e quotata a Piazza Affari dal 2012.Quale, allora, la dinamica comeanno di partenza il 2009, sul fronte dei ricavi netti i numeri sono in rialzo. Alla fine di quell’esercizio la voce contabile indicava 158,6 milioni.Nel 2014 si è arrivati a 355,9 milioni. Il trendè replicato alivello diredditività? Sì. Nel 2009 l’Ebitda valeva 14,7 milioni: nello scorso esercizio, si è assestato a 63 milioni. L’Ebitda margin, dal canto, suo è salito dal 9,3% del 2009 al 17,6%. Ciò detto, però, deve sottolinearsi un aspetto. L’Ebitda margin, nell’ultimo anno, è diminuito rispetto al 2013 (dal 17,9% al 17,6%). Il rallentamento, peraltro, è confermato nel primo trimestre del 2015. A fronte di un simile andamento sorge il timore che possa sussistere qualche fattore che limita la marginalità. La società rigetta i dubbi. In primis, viene sottolineato che l’Ebitda margin intorno al 17% garantisce la sana crescita del business. Inoltre, rispetto all’ultimo trimestre, da una parte il margine industriale lordo è comunque aumentato. E, dall’altra, l’incremento dei costi è conseguenza dell’ampliamento del business. Quindi, non sussiste alcun problema di carattere strutturale. Ma non sono solo gli elementi finanziari. Dall’analisi storica infatti si evince che, pur rimanendo essenziale l’Italia, l’Export è stato fondamentale per Cucinelli. Con l’Europa e gli Usa veri motori del business.
In Borsa uno dei tanti errori che possono commettersi è affidarsi alla cosiddetta «visione corta». Cioè accontentarsi, ad esempio, dei numeri di un singolo trimestre («visione corta», per l’appunto) al fine di decidere l’investimento. Certo: il tempo limitato, da una parte, può essere spunto per la speculazione; e dall’altra, essendo sfruttato dagli investitori mordi e fuggi,nondeveesseretrascurato.Ciòdetto,considerare il trend di soli tre mesi è un errore. Per comprendere l’andamento di un’azienda è meglioguardareadunarcoditempopiùlungo.Così èanchenelcasodiBrunelloCucinelli.Lasocietà, nota per la produzione di abbigliamento di lusso in cashmere, quotata a Piazza Affari dal 2012.
Quale, allora, la dinamica storica dei diversi bilanci? Prendendo quale anno di partenza il 2009, sul fronte dei ricavi netti i numeri sono in rialzo. Alla fine di quell’esercizio la voce contabile indicava 158,6 milioni. In seguito, si è passati a 279,3 milioni (2012) per arrivare a quota 355,9 milioni nel 2014. Il fatturato, insomma, è più che raddoppiato. La dinamica viene replicata a livello di redditività? La risposta è affermativa. Nel 2009 l’Ebitda valeva 14,7 milioni. Di lì in avanti il Margine operativo lordo, esercizio dopo esercizio, è andato aumentando. Alla fine del 2012 (al netto dei costi d’Ipo) si è assestato a 49,1 milioni arrivando, infine, nello scorso esercizio a 63 milioni. L’incremento della redditività, a ben vedere, è stato caratterizzato da una velocità maggiore rispetto al fatturato. L’Ebitda margin, cioè il rapporto in percentuale tra il Margine operativo lordo (Mol) e ricavi, è infatti salito: dal 9,3% del 2009 al 17,6% del 2014. Tutti numeri in grado di testimoniare la capacità della società di migliorare la redditività. Ciò detto, però, deve sottolinearsi un aspetto. L’Ebitda margin, nell’ultimo anno, è diminuito rispetto al 2013 (dal 17,9% al 17,6%). Il rallentamento, peraltro, è confermato nel primo trimestre del 2015: il rapporto tra Mol e ricavi è stato del 17,1% rispetto al 17,5% (normalizzato) nello stesso periodo dello scorso esercizio.Afrontediunsimileandamentopuòsorgere il dubbio: l’esistenza di una recente problematica che limita la velocità di crescita della redditività. La società rigetta i dubbi. In primis, viene sottolineato che la marginalità intorno al 17% è assolutamente valida. Un livello che garantisce la sana crescita del business. Inoltre, rispetto alla dinamica dell’ultimo trimestre, Cucinelli ricorda che, da una parte, il margine industriale lordo è comunque aumentato. E, dall’altra, che c’è stato un incremento dei costi del personale e degli affitti. Ma questo è conseguenza dell’ampliamento del business. Quindi, non sussiste alcun problema di carattere strutturale.
Fin qui alcune considerazioni sull’andamentodelgirod’affarielaredditività.L’analisistorica del business offre, però, altre indicazioni. Tra queste quella sull’indebitamento netto. Il gruppo, nel 2009, aveva una Posizione finanziaria netta (Pfn) in rosso per 60,8 milioni. Poi, nell’anno dell’Ipo (2012), la Pfn è stata praticamente azzerata. Negli ultimi tempi, invece, ha rialzato la testa. Al 31 dicembre 2014 il debito netto era di 42,6 milioni per arrivare a 68,2 milioni tre mesi dopo. Perchè quest’ultimo balzo? In primis, c’è stato l’aumento del capitale circolante netto in seguito alla crescita delle rimanenze per le nuove 25 gestioni dirette di punti vendita. Ciò detto, al di là della stagionalità del business, c’è l’impatto del progetto d’investimenti che, tra il 2013 e il 2015, ha previsto circa 115 milioni di esborsi. Denari utilizzati, dapprima, per il «raddoppio» dellafabbricaaSolomeo(Perugia). E, poi, nelrinnovo degli showroom e l’incremento dei negozi a gestione diretta. Senza dimenticare, infine, la creazione della piattaforma informatica (la quale dovrebbe essere completata a fine 2016). Adesso questa fase d’investimenti va concludendosi.Tantoche,daunaparte,Cucinellistima a fine anno il debito netto tra 56-58 milioni. E, dall’altra, indica che la struttura è adeguata a supportare la crescita a doppia cifra non solo quest’annomaancheneltriennio2016-2018. Unarco di tempo dove gli investimenti, soprattutto commerciali, si assesteranno al 4-6% dei ricavi.
Ma non ci sono solo gli aspetti finanziari. Il ri- sparmiatoreèinteressatoancheadaltredinamiche. Quali? Ad esempio, l’internazionalizzazione del gruppo. Ebbene nel 2009 l’incidenza dei ricavi generati in Italia (58,8 milioni) si assestava al 36,8%. Alla fine del 2014 il peso del mercato domestico (68,5 milioni) è, invece, al 19,2% (20,9% al31/3/2015).Idati,quindi,indicanodueaspetti.Il primoècheilBelpaesehapersoposizionirispettoalgirod’affariestero. Ilsecondoèchel’Italia, al di là dell’importanza come «termometro» del gusto mondiale, resta rilevante per il business stesso di Cucinelli. Al che sorge la domanda: l’alta esposizione all’economia domestica, ancora debole, non è una spada di Damocle per la società? La risposta è negativa. Dapprima, sottolineano diversi esperti, deve ricordarsi che il lusso è attività resistente alle crisi. Al di là delle «bizze» del Pil, il paperone di turno il capo di alto livello se lo concede. E non solo. Si tratta di un fatturato inpartegeneratodaisoldideiclienti-turisti.Vale a dire: il ricco cinese, tra una visita al Colosseo e una foto con lo sfondo del Duomo di Milano, la «scappata» in un negozio del gruppo la fa. Insomma,ladinamicacongiunturaleinternanonè così rilevante. Ciò detto, però, la società sottolinea una novità. Quale? Un certo rinnovato ottimismo legato proprio ai consumi interni. Certo, il rialzo del 2,7% del mercato italiano nel 2014 è stato conseguenza anche dei turisti di fascia alta. E la stessa crescita del primo trimestre 2015 (+1,7%) ne ha tratto beneficio. E tuttavia, è l’indicazione di Cucinelli, la ripresa su fronte della do- manda interna inizia a farsi sentire. La dinamica, peraltro, nonèsoloitaliana. Inaltrimercatieuropei, ad esempio la Germania, il cliente nazionale è tornato a fare capolino tra giacconi e maglie di Cucinelli. Tanto che proprio il Vecchio continente, nei suoi tradizionali Paesi occidentali, costituisce uno dei motori principali del business aziendale. L’altro? Il Nord America, in particolare gli Stati Uniti. Questi, per l’azienda, rappresentano il primo singolo mercato. Nel primo trimestre del 2015 il Nord America è cresciuto del 34%. Un balzo in avanti che, al di là dell’aiuto del mini-euro, nondevetrarreininganno. Ilpassodi marcia dell’America del Nord, infatti, è più quello dello scorso anno (+12,7). Tanto che la stessa azienda stima la possibilità di mantenere questa velocità per gli anni anni a venire.
Ma non è solamente l’Europa dell’Ovest o gli Usa: c’è anche la Greater China. Il suo fatturato, nel 2014, è salito del 32,7% arrivando a 20,7 milioni. Una dinamica su cui, tra le altre cose, ha impattato la conversione, a inizio ottobre 2013, di 3 boutique di Hong Kong dalla rete wholesale monomarca a quella diretta. L’andamento al rialzo, seppure più limitato, è confermato in avvio del 2015: nel primo trimestre i ricavi sono saliti del 10,2%. Insomma l’area, che comprende la stessa Cina continentale, è in crescita. Ciò detto, però, la sua incidenza sui ricavi complessivi restalimitata. Nel2012, adesempio, erail3,7% ealla fine dello scorso anno si è assestata al 5,9% (il 6,2% nelprimotrimestre2015). Difronteaquesti numeri diversi analisti storcono il naso. La Greater China, e lo stesso Paese del Dragone, sono considerati una sorta di «bengodi» per il lusso. Un’area su cui le maison devono puntare con forza. In una parola: l’incidenza del fatturato generato laggiù dovrebbe essere maggiore. La società, ricordando la continua crescita in loco, ribadisce le scelte strategiche. Il gruppo, coerentemente con il focus sul lusso esclusivo, sottolinea che è importante essere presenti, soprattutto in Cina. E, però, in maniera selettiva e ad altissimo livello. In questo modo, da un lato, aumentano le vendite locali; e, dall’altro, si crea l’effetto rarità e d’immagine che attira i nuovi ricchi. Non solamente per gli acquisti nel Paese della Grande Muraglia ma anche dei clientiviaggiatori. Quindi, è l’indicazione, l’approccio è corretto. Alcuni esperti, però, sottolineano che il fenomeno dei clienti-turisti cinesi va calando. In particolare, nel Paese del Dragone, cresce la domanda interna. Il trend, ribatte la società, non ha assunto fin qui dimensioni concrete: nelle boutique del gruppo, sparsi per il mondo, i cinesi sono ancora ben presenti. In realtà, sul fronte della Cina è molto più rilevante posizionare, o ri-collocare, i negozi. Cioè, a fronte dei continui mutamenti nel Paese e nelle grandi città, bisogna essere pronti ad aprire il negozio nelpostoenellamanieragiusta. Altrimenti, c’èil rischio di apparire non più «freschi» e contemporanei. Il che è la vera sfida per una maison del lusso quale Cucinelli. Quella maison che, a fine 2015 (e tra il 2016-2018), conferma la stima della crescita dei ricavi a doppia cifra.
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