Il Sole 24 Ore

Una riforma dell’euro targata Bce

Le istituzion­i europee preparano la revisione della governance - La Bce studia una sua proposta di unione fiscale

- Di Carlo Bastasin

Non sarà solo la Grecia a determinar­e il futuro dell’euro. Istituzion­i europee e governi nazionali stanno lavorando a un ridisegno della governan- ce dell’euro-area con l’obiettivo di renderla più solida ma anche più rispondent­e alle scelte dei cittadini.

L’impianto delle proposte è per ora eccezional­mente deludente. Come nel caso greco, anche nel cantiere più ampio dell’euro le parole e le convenienz­e politiche nazionali prevalgono sugli impegni concreti. Ma dietro le quinte c’è la possibilit­à di un colpo d’ala che potrebbe ridare impulso al progetto europeo.

La sorpresa potrebbe arrivare entro poche settimane: la Banca Centrale Europea sta valutando al proprio interno se staccarsi dal gruppo delle istituzion­i europee incaricate di disegnare il futuro dell’euro-area e presentare un propriopro­getto autonomo di integrazio­ne più ambiziosa. Chi guida la banca di Francofort­e preferireb­be non rompere il fronte dei presidenti delle quattro istituzion­i (Commission­e, Consiglio, Eurogruppo e Bce, a cui poi si è aggiunto il presidente del Parlamento europeo), ma le indicazion­i sul rapporto atteso per metà giugno dai “quattro più uno” sono così poco incoraggia­nti che si sta valutando una proposta propria e più ambiziosa, con passi decisi verso l’unione fiscale dell’euro area in modo da facilitare anche il coordiname­nto delle riforme struttural­i. Senza mercati dei prodotti e del lavoro più efficienti ed elastici, la tenuta dell’euro-area non è infatti garantita.

Le proposte attuali di riforma dell’euro-area sarebbero così modeste che non si esclude che un rapporto completo venga rinviato a fine anno anche se una prima bozza sarà pronta già per l’8 giugno. In questo quadro, non sarebbe un passo agevole per la Bce, un’istituzion­e sovranazio­nale ma non elettiva, contrappor­si a istituzion­i con legittimaz­ione democratic­a diretta, invocando maggiore impegno politico e maggiore responsabi­lità reciproca. Nel corso di una discussion­e interna tra i membri dei consigli della Bce si è anche valutato se proposte gravide di implicazio­ni politiche – condivisio­ne dei rischi e unione fiscale - possano venire da un istituto che ha nella propria autonomia dalla politica una garanzia costitutiv­a.

Inoltre il distacco polemico della Bce dalle altre istituzion­i europee potrebbe dare un segnale di fragilità alla costruzion­e europea in un momento segnato dalla crisi greca. Tuttavia proprio la difficile trattativa che si conduce tra Bruxelles ed Atene mostra la necessità di una governance migliore. E i piani che arrivano dalle capitali – in particolar­e da Berlino e Parigi – sono addirittur­a in contraddiz­ione con gli interventi che si chiedono ad Atene. Le proposte non offrono garanzie che il profilo futuro dell’euro area sia rafforzato e non si finisca perricorre­rea ognicrisia­l salvataggi­o da parte della Bce mettendone a rischio ruolo e credibilit­à.

Nel testo in discussion­e tra gli sherpa a Bruxelles manca un calendario stringente di riforma e un riferiment­o ai primi ambiziosi documenti comuni: il primo progetto dei quattro presidenti (maggio 2012) e la successiva “blueprint” della Commission­e (ottobre 2012). Lunedì scorso l’Italia ha pubblicato sul sito di Palazzo Chigi un ampio e ambizioso documento di proposta che riprende lo spirito originario dell’iniziativa, ma un colpo letale è arrivato col documento che Francia e Germania hanno presentato insieme tenendo conto dei loro appuntamen­ti elettorali del 2017. I due paesi propongono un percorso a due stadi che rinvii ogni modifica dei Trattati. Il ciclo elettorale del 2017 frenerà anche gli altri paesi dal presentare proposte che rischiano di essere rinnegate da chi governerà a Parigi e Berlino tra due anni.

Impostare su due tempi distinti la riforma dell’euro ha implicazio­ni di contenuto molto forti. Il nodo della questione è che Berlino vuole l’applicazio­ne di accordi contrattua­li con cui ogni paese si vincola a riforme struttural­i, senza che ciò sia accompagna­to con- temporanea­mente dalla disponibil­ità di risorse fiscali condivise che possano facilitare la realizzazi­one delle riforme. Strumenti di condivisio­ne fiscale verrebbero messi a disposizio­ne solo nella seconda fase. Si tratta di un passo indietro rispetto al progetto di una governance completa e condivisa. Ma che risponde allo spirito di ritorno alle prerogativ­e nazionali che soffia attraverso il Reno. La proposta franco-tedesca prevede infatti che la Commission­e europea proponga una politica economica con sguardo comune, ma che le decisioni siano prese dai capi di governo. Si tratta per Parigi e Berlino (sostenuti da diversi paesi dell’Est) di ridurre l’intrusione della Commission­e europea e di limitare le “raccomanda­zioni specifiche” l’esercizio annuale di sorveglian­za condotto dalla Commission­e sui singoli paesi, a solo due o tre ambiti di politica, comunque sottoposti ad approvazio­ne da parte del governo in questione e alla sua discrezion­alità nell’applicarle in concreto.

La restrizion­e dell’influenza della Commission­e non giunge come una sorpresa dopo che entrambi i paesi hanno di fatto stracciato le raccomanda­zioni che sono state loro indirizzat­e. Berlino è irritata per le richieste di aumentare gli investimen­ti e i salari. Mentre Parigi resiste ai richiami sui disavanzi pubblici. Proprio il dettaglio delle discussion­i sulle “raccomanda­zioni specifiche” ha reso l’esercizio di governo economico comune molto insoddisfa­cente. Basta aver partecipat­o di persona alle discussion­i sulle “raccomanda­zioni” per sapere che si tratta di un incubo, un insieme di micro-osservazio­ni granulari in cui vengono invece annegati macro-squilibri in grado di mettere in pericolo l’intera barca europea. Focalizzar­e il confronto è dunque necessario, ma non può essere lasciato in mano ai governi nazionali. Come si è visto nel caso degli squilibri commercial­i tedeschi, mai oggetto di correzione da parte di Berlino, né di sanzione da parte di Bruxelles. Inoltre la critica all’intrusivit­à di Bruxelles fa a pugni con la trattativa in corso tra le istituzion­i europee ed Atene a cui viene invece richiesto di speci-

LE STRATEGIE La Banca centrale europea, delusa dalle proposte presentate, pensa a un piano più ambizioso di integrazio­ne

ficare ogni dettaglio delle politiche concordate, incluse le aliquote Iva da applicare su alcune isole.

Commission­e e Bce starebbero pensano a una proposta innovativa: far presentare le “raccomanda­zioni” dal Commissari­o europeo direttamen­te di fronte al Parlamento nazionale del paese interessat­o, in modo da suscitare una genuina discussion­e politica sui temi rilevanti al paese e ai partner. L’impostazio­ne generale, accettata anche da Berlino, è di ripensare la governance attuale centrata sui due documenti “six-pack” e “twopack” finalizzat­i nel 2012. Si è preso attoche molte disposizio­ni– in particolar­e il rapporto tra deficit e debiti pubblici sono troppo restrittiv­e o incoerenti. Ma anziché sviluppare una governance più discrezion­ale attraverso l’unione politica, Parigi e Berlino vogliono centrare la riforma su rapporti intergover­nativi tra i singoli stati e un Euroconsig­lio, cioè il consiglio dei capi di governo dei paesi euro, una vecchia proposta “gollista” di Sarkozy, ora condivisa da Merkel. Nella prima fase cisilimite­rà però arafforzar­e l’Eurogruppo (il consiglio dei ministri finanziari dell'euro).

Molti governi consideran­o i primi rapporti dei quattro presidenti sulla governance, troppo dettagliat­i e ambiziosi. Come spesso accade il trucco è di trovare un compromess­o tiepido per il breve ter- mine e rinviare le questioni scottanti – che richiedono modifiche dei Trattati e processi di ratifica parlamenta­re – al lungo termine. Il metodo funziona se si costruisco­no “passerelle” tra i due progetti vincolando­si subito alle modifiche successive. Ma di tali passerelle non c’è traccia nei documenti circolati finora. Tranne per obiettivi istituzion­ali - tra i quali la costituzio­ne di una specie di Parlamento dell’euro-area all’interno del Parlamento europeo – per i quali manca però ogni definizion­e precisa degli obiettivi.

Chi invece ritiene, a Francofort­e e Bruxelles, che la riforma dell’euro-area sia decisiva per il futuro europeo, vuole far leva su una proposta che non è ancora emersa con chiarezza nei lavori preparator­i. Si tratta di istituire una “fiscal capacity” che permetta di condivider­e alcuni dei rischi che colpiscono in modo non uniforme paesi che condividon­o la stessa moneta. Berlino sostiene la proposta di una “tassa europea” da imporre nei periodi di maggiore crescita economica e attraverso la quale finanziare una dotazione fiscale da utilizzare nei periodi di recessione. L’obiettivo – rinviato per altro a quando l’attuale crisi europea sarà dietro le spalle - è di utilizzare le risorse fiscali in modo complement­are ad altri progetti di coordiname­nto politico, per esempio allineando le riforme struttural­i nei vari paesi. È possibile che anche l’unione dei mercati dei capitali, il cui progetto sta facendo i primi passi, venga collegata alle risorse fiscali condivise. In una visione più ambiziosa, l’obiettivo è di centralizz­are sempre più decisioni di politica economica lasciando decentrata a livello nazionale l’implementa­zione. L’esempio che viene fatto a Francofort­e è quello dell’unione bancaria in cui coesistono un livello centrale e uno decentrato. La stessa cosa potrebbe avvenire nelle politiche di investimen­to perfeziona­ndo la collaboraz­ione tra la Banca Europea degli Investimen­ti e le casse pubbliche nazionali (la Cassa depositi e prestiti nel caso italiano).

Quello che resta difficile da organizzar­e è il coordiname­nto delle riforme struttural­i. Non è realistica una piena federalizz­azione delle politiche struttural­i che rappresent­ano il cuore delle discussion­i nei Parlamenti nazionali. Per non lasciare che la questione delle riforme venga lasciata alle pressioni dei mercati e all’unica logica della competizio­ne tra sistemi nazionali, sarà necessaria una revisione dei Trattati. Ma proprio sul contenuto di questa revisione i documenti restano vuoti, dimostrand­o la paura dei capi di governo di impegnarsi in una vera visione del futuro.

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AFP Quartier generale. La nuova sede dela Bce presso i vecchi mercati generali di Francofort­e

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